Madonna Annunziata, un faro spirituale per i lussignani

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Madonna Annunziata, un faro spirituale per i lussignani

LUSSINO Come ogni anno, alla vigilia dell’Assunzione della Beata Vergine Maria, i fedeli lussignani si recano alla chiesetta della Madonna Annunziata a Cigale per la messa solenne serale. Qui si incontrano lussignani residenti e quelli che da due o più generazioni ormai vivono all’estero, in ogni parte del mondo. La chiesetta votiva odierna dell’Annunziazione della Beata Vergine Maria è stata costruita nel lontano 1858, attaccata alla parete di una chiesetta più piccola costruita in tempi molto più remoti e che ora funge da sacrestia. Da qui le mogli e le madri prendevano congedo dai loro cari che partivano con le navi a vela. Dalle pareti interne pendono i quadri e i doni votivi per lo scampato pericolo, specie in caso di naufragio, accanto ai ringraziamenti per il felice ritorno. Anche se i tempi ormai sono molto cambiati i lussignani rimangono molto attaccati alla chiesetta della Madonna Annunziata perché nei loro cuori essa è – e lo sarà sempre – un faro spirituale che porta la luce della salvezza nella procella della vita.

Per meglio comprendere questo secolare attaccamento alla chiesetta della Madonna Annunziata riportiamo questo fantastico racconto del lussignano Oscar Costa “Avvenne una notte a Cigale”.
“Sulla costa occidentale dell’isola di Lussin si apre la maliosa insenatura di Cigale (Porto Cicala delle antiche carte). Sulla destra entrando vi è la chiesa dell’Annunziata alla quale i marinai del Quarnero sono particolarmente devoti. Orbene, si racconta che in una notte non precisata si sarebbe svolta in questa chiesa la riunione di tutti gli scomparsi in mare e nati a Lussin o nelle isole minori. Nel buio più profondo un tre alberi a vele quadre tutto dipinto di nero, con alberatura e vele pure nere, sarebbe arrivato sino alla bocca del porto ancorando vicino alla chiesa. Ne sarebbe discesa, con grande rapidità e silenzio, una quantità di gente che davanti al sagrato della Annunziata attendeva il suo turno per entrarvi. La figura ascetica di don Stefano Vidulich, uno dei promotori delle maggiori fortune della marina lussignana che in due sole generazioni doveva diventare la seconda dell’Adriatico, assolveva e benediceva con ampi segni di croce ogni gruppo di trapassati man mano che entrava nella chiesa. A fianco di don Stefano Vidulich un nocchiere della Capitaneria di Porto, il ‘matrose’ (ted. marinaio) Antonio Cattarinich con nelle mani un grosso registro, chiamava per epoca le varie marine cui avevano appartenuto i trapassati. Antonio Cattarinich, per aver fatto parte della spedizione nell’Oceano Glaciale Artico di Julius Payer che nel 1872-74 scoprì la Terra di Francesco Giuseppe, bene si meritava quell’incarico anche se, come don Stefano Vidulich, non era morto in mare. Per prima venne chiamata la Veneta Marina a remi ed entrarono in chiesa alcuni ‘bonavoja’ (buonavoglia) delle Venete galee periti nelle tante battaglie che Venezia ebbe a sostenere contro il turco o contro Genova. Avevano abbandonato le poche povere casupole poste nella parte meridionale dell’isola, così avara di terre coltivabili, arruolandosi volontari dietro la paga di uno zecchino d’oro al mese. Vestivano umili panni frateschi e per motivi d’igiene avevano i capelli rasati dal ‘barbierotto’ di bordo. Seguirono alcune ombre della Squadra Levantina di Ragusa aggregata alla disgraziata Invincibile Armada spagnola e naufragata sulle coste dell’Irlanda nel 1588. Nelle ossa portavano ancora il freddo patito nell’attraversare il mare posto al nord della Scozia. A questi fecero seguito i marinai della Veneta Marina a vela periti a bordo dei vascelli, delle fregate e dei brulotti con i quali San Marco, dopo Lepanto, affrontò l’Islam dai Dardanelli ad oltre Algeri. Con questi diverse ombre di trapassati appartenenti alla Veneziana Marina Mercantile e morti o in seguito a naufragio o perché trucidati da pirati e corsari levantini o barbareschi. I nomi di tutti questi sono sconosciuti. Almeno i primi, nei ruoli di bordo, erano registrati solo come Piero o Antonio o Nicolò de Lussin. Dalla fine delle guerre napoleoniche in poi le registrazioni si fanno più precise. Anche i nomi delle navi lussignane naufragate nei mari del mondo sono conosciuti e così l’anno del naufragio e quasi sempre il luogo del sinistro. Quello letto da Antonio Cattarinich, che ormai chiamava i nomi delle navi perdutesi, fu un lungo rosario comprendente circa 160 navi fra polacche, golette, brigantini, barchi, navi e piroscafi. Questo numero non deve destare meraviglia, perché bisogna tener presente che le navi con a poppa, sotto il nome, la scritta Lussinpiccolo (perché questo era il loro porto di armamento) in tutto sono state circa 700. Per i cultori della precisione, qui di seguito si citano solo i nomi delle navi inghiottite dall’oceano con gli equipaggi al completo e senza che nulla si sappia di loro. Esse sono: il brigantino Leto che non ha dato più notizie dal 1850, il bark Temi sparito nel 1856, il bark Alberto, le cui ultime notizie risalgono al 1860, il bark Lussino scomparso nel 1865, la nave Velopin sparita nel 1866, il brigantino Pia nel 1869 e pure in quell’anno il bark Apollo. Il brigantino Ino è scomparso nel 1870 e la polacca Sibilla nel 1876. Il grosso bark Proserpina sparì nel 1879 e il piroscafo Luigia Premuda nel 1898. Poi, e proseguendo nella nostra storia, venne per ultimo un gruppo di qualche centinaio di uomini coperti da brandelli di uniformi militari, molti ancora coperti di nafta e con tratti di pelle staccati dal corpo a causa di gravissime ed estese ustioni. Erano i morti sul mare, sotto il mare e sopra il mare nei numerosi scontri aerei e navali avvenuti durante l’ultimo conflitto mondiale. La permanenza nella Chiesa dell’Annunziata di tutta questa gente fu piuttosto lunga e purtroppo non è dato di sapere quello che don Stefano Vidulich disse loro. Antonio Cattarinich non entrò nella chiesa perché non morto in mare. Ad un tratto si udirono, ben distinti, due colpi di campana. Era il nero tre alberi che salpava l’ancora e segnalava di aver fuori ancora due lunghezze di catena. Immediatamente tutte le ombre lasciarono la chiesa incominciando ad imbarcarsi. Fece seguito un colpo di campana. Una sola lunghezza di catena era ancora fuori. Affrettarsi a bordo! Poco dopo cinque o sei rapidi colpi segnalarono che l’ancora aveva lasciato il fondo. Il nero tre alberi mise subito alla vela uscendo dal porto e sparendo nella parte più buia dell’orizzonte con tutto il suo carico di trapassati. E Cigale ritornò alla sua abituale malìa”.

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