La «Festa sull’aia» oggi come una volta

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La «Festa sull’aia» oggi come una volta

PARENZO | In principio fu il grano. Che cadeva per terra e si autodisseminava, poi cresceva e germogliava. Le antiche civiltà umane iniziarono così a farne largo uso. Gli uomini, dediti alla caccia per sfamare le famiglie, erano per settimane assenti dai loro insediamenti, dove rimanevano donne bambini e anziani. Furono proprio le donne, a quanto pare, a notare il ciclo del grano. Pensarono allora di seminarlo da sole e ci riuscirono. Nacque così l’agricoltura. Tutto veniva praticato a mano, con zappe e aratri rudimentali trainati prima dall’uomo, successivamente dagli animali. Il grano inizio così a essere adoperato nell’alimentazione e ha continuato a essere uno degli elementi fondamentali dell’alimentazione umana.

Quando era maturo, si dava il via alla mietitura e alla trebbiatura. Inizialmente questi lavori venivano fatti a mano, con falci e bastoni. Si arrivò poi alla rivoluzione agricola del XVI secolo, che interessò soprattutto i Paesi Bassi e l’Inghilterra. Iniziò così una prima, rudimentale meccanizzazione, con l’avvento delle mietitrebbiatrici, perfezionate poi con le Rivoluzioni industriali del XIX secolo e con le successive innovazioni. Giunsero pure le falciatrici a facilitare il lavoro umano.

Istria, progresso tardivo

In Istria questo processo iniziò appena agli inizi del XX secolo e il progresso fu piuttosto lento, visto che alcuni elementi del lavoro agricolo tradizionale erano presenti nelle campagne istriane ancora agli inizi degli anni Ottanta del secolo scorso.
Per lungo tempo la mietitura veniva fatta con le falci e le “seghe de erba”. Le falciatrici meccaniche ebbero una certa diffusione appena negli anni Settanta. Le spighe di grano venivano poi legate nei cosiddetti “sbalzi” e trasportate con un carro, che prima veniva trainato dagli animali e pèoi dai trattori, di fronte a casa, sull’aia. Venivano depositate attorno a un palo maestro e si innalzavano le cosiddette “mede” o covoni. Seguiva quindi la trebbiatura, che inizialmente veniva fatta in maniera manuale con l’uso di battitori lignei o a calpestio animale. Con il tempo arrivarono le trebbiatrici.

Organizzazione collettiva

Tutti questi lavori venivano praticati collettivamente. Vi stava dietro una sorta di organizzazione collettiva nei villaggi, in cui tutti quanti si davano una mano e le operazioni venivano eseguite seguendo un preciso ordine e rispetto reciproco, in cui si definiva la data d’inizio delle operazioni, l’ordine con cui si procedeva e i rispettivi obblighi. Alle donne toccava preparare e servire i pasti. I lavori iniziavano alle prime luci dell’alba e duravano fino al calar della notte, con riposi prolungati nelle ore più calde. Il trasporto animale avveniva di regola di notte, per evitare che questi venissero disturbati da mosche e zanzare.

Socializzazione e allegria

Questi cicli lavorativi erano sinonimo di comunanza, impegno e socializzazione, ma erano anche momenti di spensieratezza e d’allegria, in quanto si comunicava e si cantava e nelle campagne c’era sempre tanta allegria.
Con l’avvento dei trattori, e delle mietitrebbiatrici, circa quarant’anni fa, le operazioni vennero concentrate nel lavoro di questi due macchinari, che riducevano notevolmente i tempi. Di conseguenza, esse divennero sempre più individualizzate e meno cooperative e socializzanti. Praticamente, scomparve ogni segno della civiltà contadina tradizionale. Ora queste tradizioni rivivono quali manifestazioni folcloristiche e turistiche, grazie al ricordo di chi le ha vissute e alla volontà e all’amore di chi vuole promuoverle.

Due asini e un bue…

Tra questi c’è Silvio Legović, gestore della Grotta di Baredine, che nell’ambito del complesso ha riproposto l’ormai tradizionale “Festa sull’aia”, iniziata con la falciatura sia a mano che con la mietitrebbiatrice, di un arativo seminato a grano. A seguire la pestatura degli ammassi di spighe deposte sull’aia attorno a un palo. Quest’operazione veniva eseguita sia a mano che con l’ausilio del lavoro animale, di due asini e di un bue podolico istriano. Quindi si procedeva alla “tamisada” (setacciatura o stacciatura) con l’uso dei cosiddetti “tamisi”. Immancabili il canto offerto dal gruppo etnovocale “Nigrignanum” e la merenda a base di fusi e salsicce. Ovviamente, non potevano mancare il vino, offerto dai vinicoltori locali, i dolci tradizionali, l’olio d’oliva e la “sopa” a base di vino.

Il recupero della tradizione

La rappresentazione, che è un recupero della tradizione a tutto tondo, è stata seguita da centinaia di turisti e visitatori, i quali hanno potuto vedere pure anche in esposizione permanente l’allestimento del “Traktor story”, ossia la storia dei trattori, delle trebbiatrici e altre attrezzature agricole in uso nelle campagne locali e il Museo della civiltà contadina, con gli allestimenti dedicati alla storia del pane, del vino e dell’olio d’oliva. Strumenti e reperti sono stati raccolti e curati con amore da Silvio Legović. L’offerta viene completata dalle mostre artistiche di Ivan Krajina e Stanko Crnković. In esposizione anche alcune opere create dall’asilo italiano di Cittanova, a cura di Denise Zlobec.

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