INTERVISTA Sonja Šimičić. L’italiano imparato dalla mamma e dalla tv

Chiacchierata con l’instancabile attivista della Comunità degli Italiani di Orsera

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INTERVISTA Sonja Šimičić. L’italiano imparato dalla mamma e dalla tv
Una veduta di Orsera. Foto: DENIS VISINTIN

Sonja Šimičić è una connazionale molto attiva nella Comunità degli Italiani di Orsera, ma anche in altri ambiti. La sua è stata ed è tuttora una vita molto attiva, dai mille interessi, tra cui l’amore per il canto. L’incontriamo per una chiacchierata.

Foto Denis Visintin

“Sono nata ad Albona – inizia la nostra interlocutrice –, ma vivo a Parenzo da quando avevo pochi giorni. Mia madre era albonese e mio padre di Stranici, vicino a San Lorenzo. Fino al 1991 ho vissuto a Parenzo, dove ho frequentato le elementari e ho studiato ragioneria. Ho iniziato a cantare al ‘Circolo’ di Parenzo: a quattro anni ero già sul palcoscenico e partecipavo a tutti i concorsi canori. Ho cantato in alcuni complessi musicali parentini, negli alberghi Riviera e Mediteran. D’inverno mi esibivo ogni venerdì e sabato all’albergo Kaštel di Montona. Nel 1968 ho vinto il primo posto al festival “Prvi pljesak – Il primo applauso” ad Abbazia, con “Vilar”. Ero la prima cantante alla quale avevano permesso di cantare in italiano. Tutti gli altri cantavano in croato. Il mio maestro, il prof. Tota, aveva chiesto il permesso di farmi cantare in italiano, altrimenti mi sarei ritirata. Era stato molto deciso nella sua richiesta. Ho cantato nel coro “Joakim Rakovac”, di Parenzo, per vent’anni. Allora la Comunità degli Italiani di Parenzo non aveva il coro. Nel 1991 mi sono trasferita a Fontane, includendomi nel coro ‘Mendule’ di Orsera, nel quale ho cantato per 25 anni. Quando avevo sentito che stava per essere avviata l’attività del coro ‘La Contrada’ della Comunità degli Italiani di Orsera mi sono subito inclusa e per otto anni ho cantato in entrambi i cori, ma l’anno scorso ho lasciato il coro ‘Mendule’ poiché non ce la facevo più a seguire entrambe le corali. Ho continuato a cantare in Comunità, dove ho trovato la mia gente. Qui mi sono inclusa anche nell’attività di bibliotecaria, ho sistemato il fondo librario, che dispone di più di 2.700 titoli, tutti inventarizzati. Abbiamo studenti che frequentano, o hanno frequentato, le Università italiane, i corsi di Italianistica a Fiume. Sono contenta perché prendono in prestito titoli d’ultimissima edizione, reperiti con l’aiuto di un docente in pensione, Silvio Radin, di Varese, nativo di Abrega, che mi aiuta a procurarli”.

A Orsera l’italiano si usa molto?
“A Orsera l’italiano lo si parla ancora molto. Nel nostro coro cantano anche persone di lingua croata. Siccome la nostra preferenza va ai canti italiani, devono imparare le parole. Io preparo loro le traduzioni, loro imparano il testo e io quando serve lo spiego. Non ho frequentato le scuole italiane, ma ho fatto lavori per i quali era necessaria la conoscenza della lingua italiana e di lingue straniere”.

Come ha imparato l’italiano?
“L’Italiano è la mia lingua materna e l’ho imparata dalla mamma, leggendo ‘Topolino’, le riviste italiane, ascoltando Sanremo, guardando la televisione italiana. Nel 1957 mio padre aveva comprato il televisore e io, mia sorella e mio fratello siamo cresciuti guardando e seguendo i programmi italiani. Quando lavoravo, senza un documento comprovante la conoscenza della lingua italiana, non potevo avere il supplemento alla paga del 5 p.c. per la conoscenza delle lingue straniere. Allora mi sono recata a Zagabria, al Centro per le lingue straniere e ho sostenuto gli esami di conoscenza dell’italiano e del tedesco”.

Ha iniziato la sua attività al sodalizio di Parenzo. Cosa significava questo per lei?
“Significava tanto, tanto. In Strada granda (Decumana, nda), viveva una famiglia di anziani: Giovanin Grabar e sua moglie Giovanna. La casa, all’angolo tra la Strada granda e l’Eufrasiana, aveva una piccola finestrella che dava nel vano cucina, sulla quale la signora Giovanna vendeva in piccoli cestini di vimini insalata e varie verdure coltivate nel suo orto a Santo Spirito. I Grabar mi mandavano ogni giorno ad acquistare il giornale e mi ripagavano il favore con 5 dinari. Di fronte alla loro casa c’era la prima pasticceria di Parenzo e io avevo ogni giorno il dubbio se spendere quei soldi per comprare una ‘krempita’, che costava 5 dinari, o andare in Circolo, dove allo stesso costo si entrava nella sala tv. Stiamo parlando del ‘55, quando ancora non avevamo la tv a casa. All’epoca tutti noi bambini di Strada granda, Marafor, ecc. andavamo in Circolo. Alle 5 del pomeriggio iniziava la TV dei ragazzi. Guardavamo il cartone animato Paua (un piccolo indiano), i telefilm Rintintin e Rusty, Ivanhoe, tre o quattro programmi che si susseguivano durante la settimana. Poi, ancora bambina, ho cominciato a cantare sul palcoscenico del sodalizio. Avevamo fondato un bel complesso musicale. Ero attiva nella biblioteca, aiutavo a sistemare i libri. All’epoca c’erano i cartoncini riempiti a mano. Anche a scuola ero attiva in biblioteca”.

Sonja Šimičić e La Contrada. Foto Denis Visintin

Com’era allora la vita a Parenzo?
“Per me relativamente facile e bella. Quando ci trasferimmo a Fontane, dove abbiamo costruito la casa, mio marito purtroppo è morto e i figli hanno intrapreso ciascuno il proprio percorso di vita. Così io rimasi da sola, con crediti da pagare. D’estate lavoravo al campeggio Istra a Fontane e a settembre mi trasferivo in Germania, dove per due anni ho lavorato in una gelateria. Poi ho fatto la badante in Italia per 23 anni. È stato un sacrificio, ma ho saldato tutti i debiti contratti per costruire la casa. Otto anni fa ho subito il trapianto del rene e ho dovuto rivedere un po’ gli impegni. È stato difficile, ma non ho mai rinunciato all’attività corale e con i giovani”.

Lei è attiva anche socialmente e aiuta molte persone.
“Ho svolto attività in molte associazioni, ma col tempo ho smesso. Ho rinunciato ai viaggi per ragioni di salute, ma con la Comunità sono stata lo stesso a Firenze anche se con qualche difficoltà. Cerco di aiutare le persone bisognose, portando loro magari un fiore o facendo loro visita. Lo farò finché potrò”.

Sappiamo che è una persona creativa.
“Sì, fin da quando ero piccola; riciclo ciò che trovo in natura, pigne, fiori, rametti. Nel 1991 io e mio marito eravamo rimasti di punto in bianco senza lavoro. Senza la mia creatività e la vendita di qualche oggetto a volte avremmo anche patito la fame. Quanto creavo di notte, lo vendevo al mattino al mercato di Parenzo. In Germania in gelateria avevo iniziato a fare dei dolci decorativi, i cigni, che ebbero un successo.
Quello che ora stiamo facendo per Orsera, la raccolta di aneddoti e delle storielle dei vecchi orseresi, io lo potrei fare per Parenzo, dove conoscevo tanta gente. Conoscevo i vecchi parenzani di Riveta, Marafor, Strada granda. Qui a Orsera sono trapiantata, conosco le persone, ma mi manca la loro storia”.

Da piccola cosa sognava di fare?
“Avrei voluto studiare medicina, ma mio padre non voleva saperne di un mio spostamento a Pola per andare a scuola. Ero la più grande tra i fratelli, una figlia e in quei tempi andare via da casa… no, era un altro mondo, un’altra mentalità. Dopo l’esibizione ad Abbazia ero stata chiamata a fare dei provini in tv a Zagabria, ma i miei non mi lasciarono andare. Avrei voluto fare tante cose. Ebbi anche una bella offerta di lavoro in Svizzera, ma mi chiesi: ‘Se vado, dove torno?’. Una curiosità: io al concorso di Abbazia ero arrivata prima, Francesco Paladin (ultimo orologiaio di Pisino, nda) era giunto secondo, Nevia Rigutto terza, Radojka Šverko sesta. Lei poi ha ha avuto una grandiosa carriera, Nevia Rigutto canta ancora. Chissà, se mi fosse stato permesso, forse avrei fatto carriera anch’io. O forse no. Non posso saperlo. Il prof. Tota era lo zio di Ana Štefok e paragonava sempre la mia voce alla sua”.

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