
Nella Casa dei castelli di Momiano, che opera nell’ambito del Museo storico e navale dell’Istria, si è tenuta la conferenza “L’acqua e la Serenissima, non solo il mare: il caso dei mulini da fiume nelle terre di San Marco”, un incontro che ha riportato alla luce un frammento poco esplorato della grande storia della Repubblica di Venezia, l’ingegnoso sistema di mulini ad acqua che punteggiava le sue terre, dall’Istria all’entroterra veneto. La Serenissima non era solo la signora del mare, ma sapeva dominare e sfruttare con sapienza ogni corso d’acqua, anche quelli più discreti e nascosti. Un sistema idraulico diffuso e sofisticato, che alimentava l’economia locale e incarnava una visione di governo basata sulla valorizzazione delle risorse naturali e sulla capillare organizzazione del territorio.
A introdurre la serata è stata Tanja Šuflaj, responsabile della struttura ospitante, che ha spiegato come l’incontro fa parte del ciclo di conferenze dedicate al castello Rota, finanziato dall’Assessorato alla Cultura e alla Territorialità della Regione istriana e organizzato in collaborazione con l’Upa di Buie.
Edifici rurali e produttivi
Ad intervenire inizialmente è stato Pietrangelo Pettenò, rivelando come nel 2024 è stato avviato dall’associazione culturale Finnegans, con il coinvolgimento di numerosi enti e istituti di ricerca, il progetto intitolato “Edifici rurali nella Repubblica di Venezia: ville, mulini, frantoi. Una prima ricerca in Istria, Creta e Veneto”, finanziato dalla Regione Veneto, che ha l’obiettivo di indagare e valorizzare il patrimonio edilizio rurale dell’epoca veneziana. Pettenò, quale responsabile del progetto, ha sottolineato come quest’ultimo, attraverso la Legge Beggiato, si è concentrato su tre aree specifiche, ossia l’Istria, un territorio che conserva ancora oggi tracce significative della presenza veneziana, l’entroterra veneziano, dove l’attività molitoria ha lasciato un’impronta profonda nella gestione delle risorse idriche e Creta, un tempo possedimento della Serenissima, che conserva testimonianze di un’architettura produttiva legata all’acqua. Pettenò ha spiegato inoltre come il progetto si propone di colmare una lacuna nella conoscenza storica: se da un lato sono state ampiamente studiate le grandi architetture pubbliche, civili e militari veneziane, dall’altro molto meno attenzione è stata riservata agli edifici rurali e produttivi che furono il vero motore economico.
Gioielli di ingegneria idraulica
I presenti, tra i quali la sovrintendente ai Beni culturali per la Regione istriana Lorella Limoncin Toth e la viceconsole d’Italia a Buie Giuseppina Rajko, hanno potuto immergersi nei dettagli di questa ricerca grazie agli interventi di due storici di spicco: Mauro Scroccaro e Marina Paoletić. Il loro lavoro, assieme a quello di Marianna Angelaki, ha posto le basi per una riscoperta sistematica di un patrimonio architettonico e produttivo ancora presente, ma spesso dimenticato, nei territori un tempo dominati dalla Serenissima.
Scroccaro e Paoletić hanno tracciato un quadro sorprendente: se in Istria la presenza di mulini e ville è ancora ben riconoscibile, l’entroterra veneziano custodisce oltre 70 mulini edificati tra il XVI e il XVII secolo, veri e propri gioielli di ingegneria idraulica. Non semplici costruzioni funzionali, ma strutture che raccontano di una civiltà capace di armonizzare lo sfruttamento delle risorse con l’eleganza architettonica.
La ricerca ha messo in luce come questi mulini non fossero elementi isolati, ma parte di un più ampio sistema di gestione delle acque che la Serenissima aveva sapientemente orchestrato. La loro ubicazione strategica nei pressi di fiumi e canali li rendeva punti vitali per la macinazione del grano, la produzione di olio e altre attività essenziali per il sostentamento delle popolazioni locali. Questi edifici non erano solo centri di produzione, bensì veri e propri snodi di comunità, attorno ai quali si sviluppavano attività economiche, sociali e culturali. Un mondo che, sebbene oggi appaia lontano, è ancora leggibile nelle tracce architettoniche sopravvissute, nelle testimonianze storiche e nelle memorie locali. Questi edifici erano spesso situati in punti strategici, nei pressi di centri abitati o lungo le principali vie di comunicazione fluviale. La loro costruzione e gestione erano regolamentate dalle autorità veneziane, che ne garantivano il funzionamento e la manutenzione.

Foto: Erika Barnaba
Mappatura dei siti
Questi edifici, molti dei quali in stato di abbandono, rappresentano testimonianze preziose di antiche attività produttive: mulini, frantoi, opifici e ville che hanno segnato l’economia e la vita sociale delle comunità locali per secoli.
Il lavoro di ricerca è stato articolato su due fronti principali: l’indagine archivistica, che ha permesso di riscoprire edifici ormai scomparsi o difficilmente individuabili sul territorio e l’indagine sul campo, attraverso campagne fotografiche e georeferenziazione, per mappare con precisione questi siti. Uno degli strumenti chiave del progetto è stata la creazione di un database dettagliato, che raccoglie informazioni su ogni edificio: epoca di costruzione, stato di conservazione, proprietà e funzione originaria.
Tra le strutture più significative emerse dall’indagine vi sono i mulini, elementi centrali dell’economia preindustriale. Solo nel Veneto, nel 1766, la Repubblica di Venezia ne censì oltre 4.000, tra cui 515 mulini a farina, 204 segherie, 156 opifici tessili (folloni) e 90 ferriere. Questi numeri rivelano l’importanza dell’energia idraulica nel sostegno delle attività produttive locali. Nel 1869 il numero di mulini nel Veneto era salito a 5.214, con un rapporto di 1 ogni 340 abitanti. Molti di questi mulini hanno continuato a funzionare fino agli anni ‘50 e ‘60 del secolo scorso, adattandosi ai tempi, ad esempio producendo energia elettrica per la rete urbana.
Valorizzazione turistica
Il progetto ha permesso di localizzare e studiare oltre 75 mulini lungo sei fiumi di risorgiva, contribuendo alla riscoperta della loro storia e di potenziale valorizzazione turistica. Uno degli obiettivi principali del progetto è difatti la creazione di itinerari culturali e naturalistici, che possano integrare questi edifici in percorsi escursionistici, cicloturistici e didattici. L’idea è quella di restituire valore a queste strutture non solo come reperti storici, ma anche come elementi attivi di un turismo sostenibile.
In questa direzione, la georeferenziazione degli edifici è un passo fondamentale. Grazie a strumenti digitali, è ora possibile individuare con precisione la posizione di mulini, frantoi e ville, facilitando la loro esplorazione da parte di studiosi e visitatori. Nonostante le limitate risorse economiche e il breve tempo a disposizione, in appena un anno di progetto, i risultati ottenuti sono stati significativi. Oltre alla documentazione e alla mappatura, il lavoro svolto ha contribuito ad accendere un rinnovato interesse per la tutela del patrimonio rurale. Il progetto dimostra che la valorizzazione della memoria storica non è solo un atto di conservazione, ma anche un’opportunità per il futuro. La creazione di reti culturali, la promozione del turismo lento e l’integrazione di queste strutture in nuovi modelli di sviluppo possono offrire un’alternativa concreta all’abbandono e al degrado.
L’incontro ha suscitato un vivo interesse tra i presenti, che hanno potuto apprezzare la meticolosità della ricerca e l’importanza della sua divulgazione. La riscoperta dei mulini da fiume è un invito a guardare il paesaggio con occhi nuovi, a riscoprire la memoria dell’acqua e delle sue trasformazioni nel tempo. Quindi, la storia della Serenissima non è finita con la sua caduta, ma continua a scorrere come l’acqua che per secoli ha fatto girare le pale dei suoi mulini.

Foto: Erika Barnaba
Tutti i diritti riservati. La riproduzione, anche parziale, è possibile soltanto dietro autorizzazione dell’editore.
L’utente, previa registrazione, avrà la possibilità di commentare i contenuti proposti sul sito dell’Editore, ma dovrà farlo usando un linguaggio rispettoso della persona e del diritto alla diversa opinione, evitando espressioni offensive e ingiuriose, affinché la comunicazione sia, in quanto a contenuto e forma, civile.