
In un caldo tramonto di fine giugno, nel suggestivo borgo di Paldighia, tra le colline che guardano Castelvenere e Buie, si rinnova ogni anno un rito antico, quello dell’accensione del falò di San Pietro e Paolo, le cui fiamme brillano con un significato ancor più profondo, dedicato alla memoria di Marino Vocci, giornalista, scrittore, ponte tra culture e uomo che ha fatto dell’umanità il suo vero testamento. Nato nel 1950 a Caldania, alle soglie dell’Istria, Vocci visse l’esodo a soli quattro anni, trasferendosi a Trieste nel 1954. Incatenato nelle tensioni post-belliche, crebbe nel campo profughi di Opicina, esperienze che forgiarono in lui una sensibilità verso il dialogo, l’incontro, l’inclusione. Fece così della sua vita un’opera di riconciliazione tra comunità. È stato sindaco di Duino Aurisina, presidente del “Gruppo 85 – Skupina” con Fulvio Tomizza, Claudio Magris e Boris Pahor, collaboratore con istituzioni culturali triestine e istriane, sostenitore della convivenza linguistica e culturale italo-slovena. Giornalista pubblicista, ha raccontato l’anima della sua terra con la trasmissione “La barca dei sapori” su TV Capodistria, valorizzando enogastronomia, paesi e tradizioni. Autore di racconti, saggi e poesie sul confine e l’Adriatico, fu redattore del Museo del Mare di Trieste e impegnato nel progetto “Adriatico, una storia scritta sull’acqua”. Quando si spense il 12 dicembre 2017, a 67 anni, lasciò un vuoto che ancora risuona nelle piazze triestine e istriane.
Rinascita, memoria, comunità
Nel 2008, Vocci stesso contribuì a riportare in vita un’antica tradizione, quella del falò nella notte di San Pietro e Paolo, sui monti tra Italia e Slovenia, un rito di protezione, prosperità, comunità. Da allora si accende ogni anno grazie all’impegno volontario di Danilo Pištan, affiancato dalla consorte Leni e dei residenti locali. Dopo la sua scomparsa, questo momento è diventato una dedica a Vocci, testimone d’amore per l’Istria, custode della memoria e tessitore di ponti. Anche quest’anno la manifestazione ha visto la partecipazione di oltre 200 persone, tra amici, conoscenti e famigliari quali la moglie Liliana e le figlie Martina ed Eva con il consorte e la nipotina Vera, tra l’attesa accensione del falò, vino, sardelle, e musica grazie a un gruppo di musicisti locali riuniti da Vito Kramesteter.
Danilo Pištan ha sottolineato fortemente l’importanza della forza lavoro dei numerosi volontari che hanno reso speciale anche quest’anno l’incontro totalmente gratuito: “Pure la Città di Buie e il suo Ente turistico hanno rinnovato il patrocinio, rendendo l’evento riconosciuto e condiviso. Ringrazio, inoltre, il Corpo volontario dei Vigili del fuoco di Buie, che è rimasto di guardia fino a tarda notte, assicurandosi che tutto si svolgesse senza incidenti. Con l’odore del fumo, la luce delle fiamme e la musica allegra suonata da musicisti locali e abitanti del posto, tutti i presenti hanno goduto di cibo e bevande gratuite, ma soprattutto della sensazione di comunità che il falò simboleggia. Quest’evento dimostra che le tradizioni non devono essere dimenticate, basta un po’ di volontà, uno sforzo collettivo e una scintilla di fuoco perché le vecchie luci tornino a brillare”, ha concluso Pištan.
Tra i numerosi presenti, amici e colleghi di Vocci, nonché vicini di casa o persone che magari non lo avevano mai conosciuto, ma ammiravano le sue opere, a rappresentare le istituzioni sono stati il sindaco Fabrizio Vižintin e il direttore della Pro loco, Valter Bassanese.
Le parole della figlia Martina
Martina, sua figlia, emozionata, ha affidato al pubblico viscerali pensieri: “Quest’anno è stato speciale. Per la vita che aveva il fuoco nel celebrare due nuovi occhi curiosi… È sempre una magia, papà, la tua”. Le sue parole riflettono alla perfezione la forza evocativa di un gesto semplice, l’accendere un fuoco, capace di richiamare alla memoria un padre, oggi pure un nonno, nonché un maestro, un faro.
Quello di Paldighia è stato un falò di riaccensione dell’identità, di braci che ritornano come antiche luci sulle colline istriane, un rito che consente di tramandare alle nuove generazioni un frammento di memoria, le cui fiamme non solo riscaldano, ma illuminano ciò che siamo stati e ciò che possiamo diventare insieme. Quindi, ogni scintilla ha raccontato una storia, quella di Marino Vocci, che ha acceso il fuoco del dialogo e della curiosità, che ha posto alla base dello sguardo umano il superamento delle divisioni. Il falò è oggi il suo monumento di fiamme, un luogo in cui la sua voce, il suo pensiero, la sua passione continuano a risplendere, ricordandoci che le tradizioni, se alimentate con amore, non si spengono mai. Un brindisi allora, alle radici, al futuro e a chi, come Vocci, ha avuto il coraggio di costruire ponti tra mondi diversi, battendosi perché le diversità siano un patrimonio condiviso.

Foto: ERIKA BARNABA
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