
Con la presentazione dell’edizione croata del libro del professor Tullio Vorano, sul tema dei minatori morti nelle miniere carbonifere dell’Albonese nel periodo dal 1785 al 1999 tenutasi ieri negli ambienti della Scuola media superiore “Mate Blažina” sono iniziate ufficialmente le celebrazioni del 104º anniversario dello storico sciopero dei minatori avviato il 2 marzo del 1921 e diventato conosciuto come “Repubblica di Albona”. Come l’edizione italiana, edita dalla Comunità degli Italiani “Giuseppina Martinuzzi” e presentata nello scorso periodo, anche quella croata ha un titolo contenente l’affermazione “Sono morti inutilmente”. Tuttavia, l’elenco che si menziona nel resto del titolo parla di 718 minatori morti nel periodo menzionato, rispetto ai 695 dell’edizione italiana.
Infatti, come confermato durante l’incontro, a fornire i nomi di altri 23 minatori periti è stato, nel periodo tra la pubblicazione e la presentazione delle due edizioni, Rinaldo Racovaz, autore di alcuni volumi dedicati alla sua natia Arsia, il quale ha potuto consultare un archivio triestino cui possono accedere soltanto a determinate persone. A Racovaz ciò è possibile in quanto prima del pensionamento aveva lavorato, brevemente, nel Comune di Trieste.
Le tragedie
“Durante l’amministrazione italiana l’archivio principale con i documenti riguardanti le miniere dell’Albonese, compresi anche quelli relativi alle morti, si trovava proprio a Trieste. Sarebbe bello se uscisse anche la seconda edizione del volume perché se per l’edizione italiana avevo a disposizione meno di 700 nomi, per quella croata 718, oggi come oggi ne ho 727. Per cui, questa ricerca va avanti. Non ho speranze ormai per 11 vittime accertate ma di cui non abbiamo i nomi, in quanto durante l’amministrazione jugoslava l’archivio non veniva curato in modo appropriato”, ha dichiarato Vorano, spiegando la lacuna.
Soffermandosi sul libro, ha ricordato il giornalista Marino Fonović, il quale riuscì a salvare una preziosa mappa di Milan Vojić, ossia il primo elenco degli operai morti nella tragedia del 1948, che Fonović trovò in un recipiente per i rifiuti. Secondo Vorano, oltre alla documentazione irreperibile, a caratterizzare il periodo jugoslavo è stato pure “uno strano modo di registrare i morti”. “Infatti, se un ferito arrivava vivo fino all’ambulatorio, egli non veniva messo tra i casi letali, ma il suo decesso veniva citato come conseguenza dell’incidente. Ciò veniva fatto perché la famiglia non ricevesse la pensione. Era un risparmio per lo Stato. Tuttavia, era una cosa inumana”, ha aggiunto l’autore, spiegando, un’altra volta, che il titolo “Sono morti inutilmente” si riferisce al fatto che i minatori “avevano diritto al lavoro, ma non a morire sul posto di lavoro”.
“Sono tanti i fattori delle sciagure più grandi, quelle di Arsia del 28 febbraio 1940 e di Albona del 14 marzo 1948. Tuttavia, la causa principale era quella che potrebbe essere definita come fame per la produzione. Sia durante il fascismo e l’amministrazione italiana, sia durante l’epoca jugoslava si aveva bisogno di tanto carbone e si lavorava senza osservare le necessarie misure di sicurezza. Per questo sono successe queste tragedie. Inoltre, i responsabili facevano brillare le mine mentre la gente era ancora sul posto di lavoro, invece di farlo tra i turni”, ha detto Vorano, il quale specifica nel libro che il vero inizio della produzione mineraria risale al 1785, quando lo zuccherificio di Fiume diventò il primo cliente fisso del carbone dell’Albonese. Tuttavia, le prime attività estrattive risalgono al 1626 e la storia mineraria ebbe inizio a Carpano.
Non solo un catalogo
La prima vittima fu, secondo Vorano, il tirolese Antonio Cosset, morto il 21 ottobre 1797, mentre il primo a perdere la vita tra gli abitanti autoctoni del territorio albonese fu Nikola Brezac, morto a Carpano il 18 novembre del 1849. A parlare del volume, pubblicato dalla casa editrice “Despot Infinitus” di Zagabria con coeditori la Città di Albona e il Comune di Pedena, è stato pure lo storico Deni Vlačić, pure egli connazionale, rappresentante della casa editrice zagabrese, secondo il quale, il volume, che comprende 338 pagine e 502 fotografie, tra cui quella dei funerali di alcuni dei morti nella tragedia del 1940 svoltisi a Ossimo (Brescia), “non è soltanto un catalogo delle tragedie, ma è un monumento alle persone che, come dice il titolo, sono morte senza un valido motivo e le cui morti non possono in alcun modo essere giustificate”.
A sottolineare il grande impegno e il prezioso contributo alla conoscenza del passato di Albona e della storia di molte famiglie nell’Albonese, ricordando il lavoro svolto dall’autore negli archivi di Albona, Pisino e Zagabria, è stata pure Loredana Ružić Modrušan, dell’ufficio delle pubbliche relazioni della Città di Albona, la quale ha moderato l’incontro. “Sono stati Loredana e Deni a indurmi a scrivere questo libro. Prima Loredana mi ha chiesto di compilare una lista di tutti i minatori che persero la vita nelle nostre miniere e in seguito Deni mi ha detto che, se dovessi decidere di dedicarci un libro, questo sarebbe stato pubblicato dalla ‘Despot Infinitus’. Per cui sono stato praticamente costretto ad avventurarmi in questo lavoro”, ha detto l’autore, strappando una risata al pubblico, composto per lo più dagli studenti della SMS, ma anche da alcuni ex minatori e persone interessate al passato industriale del territorio.
“È stato un lavoro esigente, ma pieno di soddisfazioni, perché volevo dare un mio contributo”, ha sottolineato, modestamente, l’autore, ringraziando anche sua moglie Marija, per “averlo sopportato”. Al professore sono andati i ringraziamenti di tutti i presenti, compresi quelli della vicesindaco Federika Mohorović Čekada, del preside della SMS Đani Žufić, di Amneris Ružić Fornažar, bibliotecaria della SMS, cui sono andate due copie del volume. “Quando sento il professor Vorano parlare del passato minerario, alla mia vita si aggiungono altri anni”, ha detto uno degli ex minatori presenti. Ha contribuito all’incontro, interpretando la poesia “Kova je nasa” (La miniera è nostra) di Elis Lovrić la studentessa Ivona Jelčić.
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