
“I giorni passati a Ponte d’Arsa e a Kature sono stati i più belli della mia vita”. Lo ha detto, ricordando i giorni spensierati, in cui “non c’erano tutti i problemi di cui la vita carica in età adulta anche chi ha successo, vive bene, lavora…”, lo scrittore Diego Zandel durante la serata organizzata nel Teatrino della Comunità degli Italiani “Giuseppina Martinuzzi” per presentare al pubblico albonese la sua opera “Racconti istro-fiumani”, pubblicati nel settembre 2024 a Gradisca d’Isonzo da “B#S Edizioni”.
È stato il professor Tullio Vorano, presidente della Giunta esecutiva del sodalizio albonese, a soffermarsi sui sei racconti dell’opera, ringraziando l’autore pure per i suoi “continui riferimenti alla nostra, comune, realtà istro-quarnerina, grazie ai quali anche noi diventiamo protagonisti delle sue scritture”. “Con i suoi racconti, Zandel si riconferma come un prosatore eccellente, come lo è nei suoi romanzi. I racconti, probabilmente perché brevi e succinti, hanno il pregio di offrire un dialogo intenso e un’unità d’intenti tra il lettore e i protagonisti, il primo solidarizzato con questi ultimi. L’autore ci offre una descrizione ammaliante degli ambienti, delle persone, degli avvenimenti con un linguaggio semplice e allo stesso tempo raffinato, che viene facilmente percepito dal lettore, cui rimane impresso un gaudio perenne. Grazie, Diego, e complimenti vivissimi. Ci hai arricchito molto con questa serata, ma soprattutto con i tuoi molteplici scritti, che sono tuttora e rimarranno vivi eternamente nello spazio e nel tempo”, ha sottolineato il professor Vorano, il quale ha voluto ricordare pure il Premio Tomizza assegnato all’autore, nato nel 1948 nel campo profughi di Servigliano da genitori fiumani e cresciuto nel villaggio Giuliano-Dalmata di Roma. La famiglia originaria di suo padre è dell’Albonese.
La «lingua nonnesca»
Nella raccolta, la cui pubblicazione in italiano è avvenuta, come ha voluto ricordare l’autore, dopo l’edizione croata, ovvero in seguito alla traduzione degli stessi racconti in croato da parte di Vanesa Begić, Zandel “torna” nell’Albonese, dove trascorse una parte della sua infanzia e adolescenza, gli “anni spensierati”, e dove apprese quella che egli ha definito “lingua nonnesca”, ovvero il ciacavo del territorio, parlato da sua nonna. Parole e frasi ciacave (zacave) non mancano nemmeno nel racconto “Un giorno con la zia”, dedicato a zia Meniga, morta il 7 maggio 1993, dove si leggono “fusi”, “krafi”, “kalandraka” e altro. Queste scelte linguistiche sono state lodate durante la serata da Rinaldo Racovaz, il quale le vede come un ottimo modo per far conoscere il territorio albonese al pubblico in Italia, al quale Zandel è noto anche grazie al fatto che il suo racconto “Omicidio di frontiera”, pure questo incluso nell’opera presentata, è stato inserito, come ha ricordato Vorano, nell’antologia della rinomatissima casa editrice “Sonzogno”, con il sottotitolo in copertina “I migliori giallisti italiani raccontano il ventennio fascista”.
Come ha precisato Vorano, il racconto “Un giorno con la zia” potrebbe essere definito autobiografico: “pare che l’autore, nei panni di Marco, faccia visita ai parenti, alla zia Meniga e a sua figlia Clelia; gli si presenta, quindi, l’opportunità di rievocare gli odori, le sensazioni, le emozioni degli anni giovanili trascorsi e vissuti assieme alla cugina Clelia in un clima pieno di allegria, armonia e spensieratezza. Zandel, con un gusto raffinato e delicato, riesce non solo a descrivere perfettamente questa breve visita di Marco, ma offre una sentita e veritiera testimonianza degli usi e dei costumi di un tempo osservati e praticati nei villaggi dell’Albonese”.
Alla serata ha presenziato pure la signora Clelia, con la quale Zandel ora, essendo il suo ciacavo “molto arrugginito”, comunica in italiano. “Dovrei fermarmi qui per dieci giorni per riprendere, per tornare a parlare il dialetto. Cercherò di venire più spesso”, ha detto lo scrittore, il quale ha confermato che nel romanzo che dovrebbe uscire l’anno prossimo, “Anni di pietra”, torna a occuparsi dei temi legati alla Grecia.
Allo stesso Paese ha dedicato vari lavori, tra cui alcuni ambientati sull’isola di Kos, che Zandel frequenta dagli anni ‘60 dello scorso secolo e dalla quale proveniva la sua prima moglie, prematuramente scomparsa. Al centro del nuovo romanzo è il poeta Manolis Fortounis, più volte prigioniero politico e, per Zandel, “l’ideale dell’uomo libero”.
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