Zlatko Komadina: «Dopo 24 anni è il momento giusto per ritirarmi»

Ad ampio raggio con il presidente della Regione litoraneo-montana il quale ha deciso di non ricandidarsi per un settimo mandato, ma contestualmente riattiverà il suo mandato al Sabor

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Zlatko Komadina: «Dopo 24 anni è il momento giusto per ritirarmi»
Foto Željko Jerneić

A maggio si svolgeranno in Croazia le elezioni amministrative e quelle per i sindaci e presidenti di Regione. Zlatko Komadina, che guida quella litoraneo-montana da ormai 24 anni e che sta per portare a termine il suo sesto mandato consecutivo, ha deciso di dire basta e di non ricandidarsi più. Quale momento migliore, dunque, di questo 2024 agli sgoccioli, per fargli un’intervista ad ampio raggio, seppure non abbia certo bisogno di presentazioni. Seduti comodamente nel suo ufficio in Corso, partiamo proprio dalla fine, ovvero chiedendogli se quella di ritirarsi sia una decisione definitiva o se potrebbe cambiare idea all’ultimo minuto.

“Se dovessi dare retta al cuore, continuerei a ricoprire questa carica ancora per qualche anno – esordisce –, ma la ragione mi dice il contrario: è giunto, per me, il momento di appendere le… scarpette al chiodo. Ho sempre ritenuto che fosse meglio ritirarsi da sportivi, come dopo avere vinto un campionato o l’Olimpiade. Dopo avere ottenuto per sei volte di seguito la fiducia dei cittadini e dopo avere guidato la Regione per quasi 24 anni, ma anche per questioni di età (Komadina è classe 1958, nda), è arrivato il momento di consegnare il testimone a qualcun altro e di concedere il potere operativo a colui che mi succederà. Non mi andava di candidarmi per il settimo mandato e magari sentirmi dire di non averne mai abbastanza e di non volere dare spazio a qualcuno più giovane di me, per cui credo di aver preso la decisione migliore e più corretta in questo periodo della mia vita. Non intendo, però, starmene con le mani in mano. Politicamente parlando, rimarrò in… sella, riattivando il mio mandato di deputato al Sabor, che finora era rimasto a riposo. Infatti, non permettendo l’attuale legge a un presidente di Regione di ricoprire il doppio ruolo (anche se non ho mai capito il perché di questo divieto visto che ai sindaci è concesso farlo), ho sempre preferito abbracciare il potere operativo anziché quello di rappresentanza. Non mi piace tenere il piede in due scarpe. In questo contesto, sono stato per lunghi anni, a partire dal 2000, presidente della sezione regionale del mio partito di appartenenza, l’SDP, per poi decidere di non ricandidarmi nel 2021. Il Comitato aveva allora nominato Ivica Lukanović a capo della sezione regionale e lui, con tutta probabilità, sarà anche il candidato alla carica di presidente della Regione alle prossime elezioni amministrative, in programma nel mese di maggio”.

Secondo lei, quante probabilità ha Ivica Lukanović di spuntarla?
“Credo buone, visto che queste nostre aree hanno sempre votato il centrosinistra. Non so dirle se in questo momento storico si respiri ancora la stessa aria, ma lo spero vivamente. Vorrei che rimanessimo un po’ diversi dagli altri, come Bologna, la rossa, così chiamata per tanto tempo. Mi piace pensare che questa Regione, come anche Fiume, possano rimanere in un certo senso il baluardo della socialdemocrazia, ma con le elezioni non si può mai dare nulla per scontato, soprattutto ora che si correrà per due poltrone vacanti, quella del sindaco e quella del presidente di Regione. Devo dire che la prima si è liberata con una modalità che non capisco e non condivido, a differenza di quella regionale, alla quale ho rinunciato di mia spontanea volontà, decidendo di non ricandidarmi. Tornando alla sua domanda, non so dirle con precisione quali chance abbia Ivica Lukanović di vincere, nel caso in cui decidesse di scendere in… pista, poiché tutto dipenderà da chi saranno gli altri candidati. A giudicare dall’aria che tirava finora, quando si è sempre votato a sinistra, non dovrebbero esserci grandi cambiamenti in questo senso, anche se nulla può essere escluso visto che si tratta di elezioni dirette, in cui tutto dipenderà da ogni singolo candidato in lizza. Personalmente, tutte le volte che scendevo in campo e vincevo, era sempre con un certo distacco dal partito stesso, nel senso che ricevevo anche il 15% di voti in più rispetto al mio partito. La mia lista otteneva meno del 50% dei voti, dovendo poi ricorrere a coalizioni per raggiungere la maggioranza, mentre io, nelle varie occasioni, l’ho spuntata con oltre il 60%, il 54% e il 52% delle preferenze, assicurandomi la vittoria già nel primo turno, senza dover andare al ballottaggio. Questo, per me, è un segnale che i cittadini mi abbiano accettato, dandomi la loro fiducia. Ricordo un aneddoto in cui ero andato in visita a una delle scuole elementari della Regione e chiacchierando con i bambini, facevo loro delle domande sulla geografia e sulla storia di queste nostre aree. A un certo punto, uno degli alunni mi ha chiesto se ci sia stato un presidente di Regione prima di me, il che mi ha molto divertito, ma mi ha anche fatto capire che forse le persone abbiano in un certo senso identificato questo ruolo con la mia persona”.

Perché crede sia così? Perché la gente la vota? Con che cosa riesce a conquistarla?
“Forse innanzitutto per il fatto che i cittadini mi abbiano riconosciuto come uno di loro. Senza falsa modestia, credo di non essermi mai allontanato e distanziato dalle persone. Quando sono sembrato, per così dire, un po’ più assente fisicamente, è stato soltanto a causa dell’enorme mole di lavoro che questo ruolo implica, il che si è immancabilmente ripercosso anche e soprattutto sul mio contesto familiare e sulla cerchia di amici, per i quali spesso non sono potuto esserci come avrei voluto e, probabilmente, dovuto. Gli impegni di un presidente di Regione sono tantissimi, seppure si tenda forse sempre a considerare soltanto quelli visibili a occhio nudo, ovvero quando mi si vede partecipare agli eventi protocollari, alle sessioni dell’Assemblea regionale o alle varie cerimonie, ai ricevimenti, alle conferenze stampa e via di seguito. La Regione è grandissima e oltre a Fiume, ha sotto la sua ingerenza altri 35 città e comuni, per cui si pensi soltanto a quanti giorni ci vogliano per riuscire a partecipare a ogni cerimonia solenne organizzata da ogni singola realtà. Certo che tutti si aspettano che arrivi sempre il presidente, ma non sempre è possibile. Fortunatamente, ho i miei vice che svolgono i loro incarichi in maniera encomiabile, coprendo buona parte di questi eventi”.

C’è un momento che definirebbe il più difficile per lei e che, col senno di poi, non ripeterebbe?
“Il mio sbaglio più grande è stato accettare, nel 2011, dopo che l’SDP, o meglio la coalizione Kukuriku, aveva vinto le elezioni parlamentari, l’incarico di ministro (del Mare, dei Trasporti e delle Infrastrutture, nda), interrompendo il mio mandato di presidente di Regione, che poi era stato ricoperto in qualità di facente funzione, dal compianto collega Vidoje Vujić. All’epoca ero vicepresidente dell’SDP nazionale e mi sembrava che i cittadini si aspettassero che le dirigenze partitiche si assumessero la responsabilità di ricoprire ruoli di guida del Paese. Come ministro, il mio intento era di impegnarmi per un migliore collegamento stradale della nostra Regione con il resto del Paese, per introdurre la doppia corsia sul tratto autostradale Fiume-Karlovac, per la costruzione della seconda canna del tunnel del Monte Maggiore, per il tratto Križišće-Žuta Lokva e per altri progetti strategici. Erano tutti programmi che al giorno d’oggi sono andati per lo più in porto, ma per i quali all’epoca non c’era la necessaria sensibilità e, direi, volontà. Dico realizzati in gran parte, poiché l’ultimo da me elencato è stato oggi parzialmente avviato con l’inizio dei lavori di costruzione della tangenziale di Novi Vinodolski, che in qualche modo rientra nel progetto del tratto autostradale Križišće-Žuta Lokva, le cui basi erano state poste all’epoca proprio da me e dall’allora ministra per la Tutela ambientale, l’Assetto territoriale e l’Edilizia, Marina Matulović Dropulić. Una volta prese in mano le redini del Ministero, ho trovato un certo disordine, rendendomi ben presto conto di non avere quasi nessun tipo di autonomia, né finanziaria, né progettuale, né tantomeno in termini di personale, nel senso che mi era impossibile creare un mio team di collaboratori. Quando sono stati tagliati dal Bilancio i finanziamenti per alcuni progetti che avevo in mente, ho capito di non potere fare granché, ma la goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata l’impossibilità di procedere con il mio Programma di costruzione dell’infrastruttura stradale e in primis con la realizzazione del tratto autostradale fino a Žuta Lokva, che era stata una mia promessa elettorale. Consapevole di non poterla mantenere, ho deciso di dimettermi e di tornare a casa”.

Quanto l’ha penalizzata all’epoca questo fatto?
“Stranamente, meno di quanto mi sarei aspettato. Anzi, credevo che questo mio dietrofront mi avrebbe seppellito politicamente e invece, alle successive elezioni amministrative, alle quali il mio partito mi aveva nuovamente candidato a presidente della Regione, ho vinto al primo turno con il 54% delle preferenze. Credo che gli elettori abbiano interpretato il mio gesto come una prova di coerenza e integrità e di avere apprezzato il fatto che io abbia deciso di ritirarmi per l’impossibilità di mantenere quanto promesso. In quella circostanza, il loro voto mi aveva dato una grandissima forza e mi sono sentito rinascere. Nel periodo successivo ho formato un ottimo team di collaboratori e colleghi, tra assessori, dirigenti e direttori delle varie istituzioni pubbliche”.

Che tipo di Regione lascerà al suo successore?
“Una Regione molto ordinata, che funziona bene e che si è sempre tenuta lontana da scandali e affaire. Il team che vi lavora è formato da persone di grande competenza e senso di responsabilità, per cui chi mi succederà non ha da temere. Tirando le somme, posso dire che in tutti questi anni è stato fatto davvero tanto e quando ci ripenso mi rendo conto di avere dato il mio contributo ai vari progetti quali ad esempio la costruzione di nuove scuole e di moli in quasi tutti i porti e porticcioli di competenza della Regione, tranne purtroppo per quanto riguarda Fiume e Abbazia. Quest’ultima merita di avere un’infrastruttura portuale seria e consona al suo ruolo di dama del turismo e non quello che si ritrova ad avere oggi. Il problema, nel suo caso, è che si tratterebbe di un intervento di grandissima portata, che in passato non siamo riusciti a candidare. L’amministrazione locale non si è espressa in che direzione voglia andare, che tipo di porto realizzare. Abbazia ha un fondale molto profondo, il che rende i costi decisamente più ingenti. All’epoca, quando era stato toccato quest’argomento, si parlava di un progetto da 100 milioni di kune. Avevo proposto alla Città di vendere le sue quote di proprietà della catena alberghiera Liburnia Riviera Hoteli (LRH), di cui detiene il 25+1%, ma l’allora sindaco mi aveva risposto che non aveva nessunissima intenzione di vendere i gioielli di famiglia per fare cassa. Concorderà con me sul fatto che è inconsueto che una Città sia comproprietaria di alberghi e ville, per cui quelle quote si potrebbero benissimo vendere in modo da potere realizzare una serie di progetti strategici, che aspettano da anni di essere realizzati. Uno di questi riguarda la ricostruzione dell’area balneare di Slatina. Il progetto esiste, ma non è mai andato in porto. Ad Abbazia, come Regione, stiamo ristrutturando il vecchio edificio della Casa della salute, anche se ho sempre ritenuto migliore il sito sulla Nuova strada, proposto dall’ex sindaco e bocciato dal Consiglio cittadino, dove sarebbe sorta anche la nuova Caserma dei vigili del fuoco. Ho paura che l’area che circonda l’attuale Casa della salute sia troppo stretta, motivo per cui il Pronto soccorso è dovuto rimanere lì dov’è, accanto a Villa Antonio. Secondo me, questa non è la soluzione migliore, visto che l’idea c’era. Pazienza”.

In tema di LRH, da qualche anno il proprietario di maggioranza di questa storica azienda è il gruppo tedesco Lürssen, che all’epoca dell’acquisto delle quote aveva promesso una serie di ristrutturazioni e restauri delle vecchie ville e alberghi abbaziani. A giudicare dai fatti, poco è stato fatto finora in questo senso. A suo avviso, qual è il motivo di questo stallo?
“Qui torniamo alla storia delle quote di proprietà. Il gruppo Lürssen si aspetta probabilmente che anche la Città faccia la sua parte dal punto di vista finanziario, mentre quest’ultima i soldi per questo tipo di interventi semplicemente non ce li ha”.

Una delle aziende Lürssen, la Gitone, detiene la proprietà assieme all’ACI, del futuro marina in Porto Baross. Considerando i fatti di cui sopra, possiamo aspettarci uno scenario simile anche a Fiume? Concretamente parlando, potrebbe, secondo lei, tardare l’avvio dei lavori di costruzione della nuova struttura, annunciati per il 2025?
“Non ho grandi informazioni al riguardo siccome non ho partecipato agli accordi. Spero vivamente che ciò non succeda e che la Gitone non si aspetti che sia l’ACI a costruire il marina e che lei si limiti soltanto ad assicurare l’arrivo e la presenza degli yacht”.

Prima diceva del porto di Fiume. Che cosa intendeva quando ha detto che la Regione avrebbe voluto fare di più?
“Nel senso che né la Regione né la Città possono fare grandi cose quando si parla del porto. In questo caso, gli unici ad avere voce in capitolo, sono l’Autorità portuale e il Ministero del Mare. La chiusura del bacino portuale alla cittadinanza è durata, in passato, per troppo tempo, per poi subire un piccolo passo avanti con l’apertura del Molo longo alla cittadinanza. Oggi le cose si sono mosse parecchio e lo testimoniano il successo del terminal container in Brajdica e la costruzione di quello in Molo Zagabria, della statale D403 che sarà al servizio di quest’ultimo, ma anche lo sgombero delle automobili dalle rive. Ciò che meritano i cittadini, sia a Fiume che ad Abbazia, è di avere un waterfront al passo con i tempi. Come ce l’ha ad esempio Spalato con la sua riva, per la quale è conosciuta anche nel mondo”.

Parlando di Fiume, spesso si ha l’impressione che serva troppo tempo per la realizzazione dei progetti d’importanza strategica, ma non solo? Qual è la sua opinione al riguardo?
“Credo che spesso vengano presi accordi senza che ci sia la reale convinzione che possano venire realizzati. Questa, almeno, è la mia impressione. Fiume ha enormi potenzialità in termini di patrimonio industriale, i cui resti andrebbero sfruttati al meglio. All’estero, le riqualificazioni di edifici dismessi sono ormai una cosa normalissima”.

Spesso in passato ci sono state critiche sul fatto che i suoi rapporti, definiti freddi, con l’ex sindaco di Fiume, Vojko Obersnel, abbiano rallentato in qualche modo lo sviluppo della città, nel senso che sarebbe bastato sedersi attorno allo stesso tavolo per avviare alcuni progetti strategici. Come commenta questo fatto?
“Sì, era una storia ricorrente, ma che non corrispondeva a quelli che erano i fatti. Era più una percezione della gente. Obersnel e io avevamo ingerenze diverse e ciascuno dei due difendeva il proprio cortile. A volte i nostri rispettivi interessi non erano sulla stessa lunghezza d’onda, è vero, ma non eravamo in cattivi rapporti. Quando lui aveva preso in mano le redini della Città, avrebbe voluto che la stessa potesse ottenere lo status di Regione, come ce l’ha Zagabria, la capitale. La legge delle grandi città dava in passato molto più potere a quest’ultime. C’è sempre questa specie di antagonismo tra la Regione e il suo capoluogo, anche a Spalato e a Osijek. Personalmente, quando sono diventato presidente, ho fatto di tutto per rafforzare la Regione, riuscendoci e diventando forse la personificazione della stessa”.

Tornando alla politica, perché ha deciso di intraprendere questo cammino?
“L’ho fatto nel 1990, periodo di trasformazione, in cui era nato il nuovo Stato indipendente. La mia generazione aveva vissuto per anni nell’ex Jugoslavia, che aveva un ordinamento sociale completamente diverso, poggiante sul socialismo. Raramente una generazione ha modo di vivere un simile cambiamento, del sistema socio-politico, dell’economia di mercato, il passaggio dall’era analogica a quella digitale, una pandemia e, ovviamente, una guerra, la tragedia più grande provocata all’epoca dai vari nazionalisti delle Repubbliche dell’ex Federazione. Quando è nata la Croazia indipendente, molti membri dell’allora Lega dei comunisti di Croazia (SKH), sulle cui basi è sorto poi l’odierno Partito socialdemocratico (SDP), erano passati in massa alla neonata Unione democratica croata (HDZ), rinnegando l’orientamento che avevano fino ad allora. Una parte minore degli ex membri dell’SKH si era ritirata dalla politica. In questo contesto, mi è stato chiesto se volessi partecipare alle prime elezioni come rappresentante dell’SDP. Ho accettato anche per una sorta di ripicca verso coloro che avevano iniziato a sputare sul piatto dal quale fino ad allora avevano tranquillamente mangiato e rinnegando anche il buono che l’ex Stato aveva fatto. Dicevano che bisognava liquidare i ‘rossi’. Anche oggi ci chiamano così. Di quel periodo non vedevo di buon occhio la privatizzazione, in seguito alla quale abbiamo venduto tutto al capitale straniero, dalle finanze, alle telecomunicazioni, alle banche, all’energia, al turismo, il fatto di aver perso il nostro mercato, di esserci girati verso l’Occidente, di non essere stati tecnologicamente pronti per un cambiamento di questo tipo. In tutto questo abbiamo perso i lavoratori. Oggi parliamo di forza lavoro. I nostri stessi cittadini lo sono diventati. Per me è un concetto inaccettabile”.

Rimanendo in tema, con la sua rinuncia a ricandidarsi per un settimo mandato come presidente di Regione, tornerà attivamente alla politica? Come immagina il suo imminente futuro dal punto di vista professionale?
“Come ho già detto, ho l’intenzione di riattivare il mio mandato al Sabor. Alle ultime elezioni interne al partito, mi hanno praticamente costretto, dal letto d’ospedale (Zlatko Komadina è reduce da un delicato intervento alla spina dorsale, nda), a ricandidarmi come membro della Presidenza dell’SDP. Ho accolto la proposta. Credo di poter dare ancora molto in questo senso grazie alla mia lunga esperienza. Non intendo ritirarmi del tutto, una volta rinunciato al potere operativo. Non mi farebbe bene”.

Dopo anni che non è stato attivo in Parlamento, come lo vede al giorno d’oggi? Quanto è cambiato questo contesto, in confronto a quando c’era lei?
“È diverso il modo di comunicazione. Ai miei tempi era inammissibile un simile modo di parlare. C’era più eleganza, più rispetto, meno toni ed espressioni offensive. Direi che il livello era più alto. È intollerabile trascorrere la mattinata collaborando con il potere esecutivo, in un Paese fortemente centralizzato – credo che soltanto la Grecia sia peggio di noi in quanto a decentramento, per il quale mi sono sempre battuto, ma con pochi risultati – per poi sputarci sopra nel pomeriggio in conferenza stampa. Ciò che succede oggi non ci rende onore. Spero, pertanto, di poter dare il mio contributo al Sabor anche in questo senso. Sarebbe opportuno rispettare il galateo politico e migliorare la cultura della comunicazione. Se vedrò che non funziona e che le cose non mi piacciono, potrò sempre ritirarmi in pensione”.

Filipović-Krpan. «Non si fa così»

Come commenta la recente mossa del Comitato cittadino dell’SDP, che ha deciso di sostenere la candidatura dell’attuale vicesindaca Sandra Krpan alla funzione di prima cittadina, anziché appoggiare Marko Filipović il quale, soltanto qualche giorno prima, aveva annunciato l’intenzione di ricandidarsi a maggio?
“L’ho già detto quand’è accaduto e lo ribadisco ora: non mi è piaciuto il modo in cui si è agito, perché così è sembrato più un siluramento. Io non lo avrei mai fatto a nessuno. Facevano meglio a parlargli prima di ufficializzare la cosa, annunciandogli il fatto di non avere più l’intenzione di sostenerlo e dandogli così l’opportunità di ritirarsi da solo. Così non si fa, per di più a un presidente di Comitato. L’opposizione non starà a guardare e in campagna userà di certo questa carta per mettere in cattiva luce il partito”.

Le tre passioni

È nota la sua passione per la pesca, la briscola e il tressette e la pallacanestro. Quando trova il tempo per occuparsene?
“Fino a pochi anni fa passavo ore, a volte anche tutta la notte, in barca a pescare e a pensare. Ora i problemi alla schiena non me lo permettono più. L’alternativa che ho trovato a questi momenti di meditazione sono le passeggiate in natura in compagnia del mio cane Biggy, un beagle di ormai 12 anni, che adoro. Era stato lui stesso a sceglierci venendoci incontro, quand’eravano andati a vedere una cucciolata a Grubišno polje. L’ho amato sin da subito. In quanto a briscola e tressette, devo ammettere di esserne letteralmente affascinato e non perdo occasione per giocare con la mia squadra di amici. Andiamo spesso in Istria dove ci dilettiamo in qualche taverna. Spesso si aggrega anche il mio omologo istriano, Boris Miletić. L’ultima mia passione, ma non per importanza, è la pallacanestro, che purtroppo non pratico da anni, ma che ha occupato gran parte della mia vita, prima attivamente come giocatore a livello regionale e poi come allenatore. Ho allenato un giovanissimo Aramis Naglić, che all’epoca faceva la sesta elementare. Come giocatore, non ho mai potuto occuparmi di basket in modo serio, siccome studiavo ingegneria meccanica, una facoltà impegnativa. Dopo essermi ritirato dal gioco agonistico, ho continuato a praticarlo a livello ricreativo. È stato il basket, ahimé, a procurarmi problemi alla schiena. Ma erano tempi bellissimi”.

«Si andrà al ballottaggio»

Ci dia una previsione per le presidenziali (quest’intervista è stata realizzata prima delle elezioni di domenica scorsa).
“Andranno al ballottaggio Dragan Primorac e Zoran Milanović e vincerà quest’ultimo”.

Un cuoco provetto

Ci è sembrato di leggere da qualche parte che le piace cucinare. È vero?
“È verissimo! Lo faccio da quando mi occupo di pesca, ma non regolarmente. Trovo il tempo per farlo soltanto nei fine settimana, quando mi cimento nella preparazione dell’agnello o del vitello alla brace o alla griglia, con patate e verdura. Il mio cavallo di battaglia, però, sono i risotti, soprattutto di seppia, e i sughi di carne, per i quali servono anche ore affinché ottengano il sapore giusto. In passato, quando ancora andavo regolarmente a pesca, mangiavamo ciò che portavo a casa. Non tutti saranno d’accordo, ma per me, il re è il pesce San Pietro, la regina è la ‘scarpena’”.

Il ruolo di papà

Che papà è stato e che papà è per i suoi due figli Sanja e Luka, ormai adulti?
“Avrei potuto fare meglio. Per lavoro sono stato spesso assente e questo mi dispiace, ma abbiamo un ottimo rapporto”.

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