Viktor Lenac. Nuove sfide all’orizzonte

Intervista a Sandra Uzelac, amministratore delegato dello stabilimento navalmeccanico di Martinšćica. «Vogliamo ripetere i risultati dell’anno scorso»

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Viktor Lenac. Nuove sfide all’orizzonte

Se il buongiorno si vede dal mattino, il 2020 potrebbe rivelarsi un altro anno di successo per il Viktor Lenac. Da gennaio praticamente tutti gli ormeggi e i bacini di carenaggio sono occupati, ma guai a cantar vittoria perché quello navalmeccanico è un comparto imprevedibile e soggetto a oscillazioni, con la situazione che può ribaltarsi da un momento all’altro. A maggior ragione in queste settimane d’incertezza legate all’emergenza coronavirus, che rischia seriamente di ripercuotersi sul business del cantiere di Martinšćica. Impossibile quindi prevedere i futuri risvolti della crisi sanitaria e inevitabilmente si è costretti a navigare a vista. Una sfida inedita per l’intero stabilimento e per la squadra riunita attorno all’amministratore delegato Sandra Uzelac, da un anno esatto alla guida del Lenac.
Sandra, facciamo un passo indietro: come avete chiuso il 2019?
“In attivo di 20 milioni di kune”.
Per un utile netto di?
“Sempre di 20 milioni, dato che l’anno precedente era stato chiuso in rosso e in questo caso non è prevista la riduzione della base imponibile, quindi siamo stati esentati dal pagamento di un’alta imposta sui profitti. Tuttavia, preferisco avere degli obblighi relativi all’imposta sui profitti perché questo significa aver raggiunto buoni risultati”.
In un anno siete passati da un passivo di 20 milioni a un attivo di uguali proporzioni. Mi sembra di capire come il vostro comparto sia oltremodo mutevole.
“Ne abbiamo avuto prova l’anno scorso quando avevamo dovuto fare i conti con un’accentuata fluttuazione dell’occupazione per quadrimestre. Il primo quadrimestre era partito molto positivamente grazie alle commissioni per la Marina militare statunitense e per la Jadrolinija, che ci avevano permesso di avere un buon livello occupazionale. Poi però, a partire da maggio, era iniziata a scendere. In più, abbiamo dovuto fronteggiare una carenza del personale, il che ha avuto come conseguenza un’impennata del costo della manodopera perché nel momento in cui gli operai se ne vanno all’estero è necessario rimpiazzarli tempestivamente. Se poi siete costretti a importarli da altre città, chiaramente aumentano i costi di vitto, alloggio e trasporto. Senza contare poi che bisogna trattenere gli operai rimasti cercando di assicurare loro condizioni simili a quelle che troverebbero all’estero. Fortunatamente, nell’ultimo trimestre ci siamo ripresi alla grande, aumentando sensibilmente i ricavi, consentendoci così di coprire tutti i costi e di chiudere l’anno in attivo”.

Sandra Uzelac, amministratore delegato dello stabilimento navalmeccanico

Quanti dipendenti avete sotto contratto attualmente?
“Circa 370, più una cinquantina in altre due società collegate. La struttura dei dipendenti andrebbe orientata leggermente più a favore della produzione e meno della logistica perché nel momento in cui c’è un deficit di forza lavoro, tutta la manodopera si tramuta in costi fissi, diventando un peso non indifferente. Infatti, i nostri costi fissi mensili ammontano a circa un milione di euro”.
Teme che anche quest’anno il problema possa ripresentarsi?
“Bisogna tenere presente che il deficit della manodopera non è uguale in tutte le professioni navalmeccaniche. A metà dello scorso anno ci siamo ritrovati a lavorare in contemporanea su tre progetti di installazione dei sistemi di depurazione delle acque reflue, il che ha richiesto un alto numero di addetti alle tubazioni, che noi in quel momento non avevamo. I clienti non aspettano e quindi la manodopera la devi avere subito a disposizione, altrimenti non puoi essere competitivo sul mercato”.
Quant’è lo stipendio netto medio?
“L’anno scorso ammontava a 7.200 kune”.
Trenton si trova nel cantiere, Yuma sta per ripartire e Carson City è data in arrivo. Insomma, la collaborazione con la Marina militare americana è più solida che mai.
“Il primo grande progetto era partito nel 2011 con la Mount Whitney e poi dal 2015 ad oggi la collaborazione si è fatta più stretta e continuativa. Ogni anno effettuiamo una decina di interventi minori sui catamarani veloci che ha appena citato. Inoltre, da due anni a questa parte abbiamo iniziato a offrire servizi di voyage repair, ossia inviamo i nostri dipendenti nei luoghi in cui si trovano queste navi. L’anno scorso avevamo effettuato cinque interventi di questo tipo”.
Si vociferava del possibile ritorno della Mount Whitney, poi finita però a Genova. Il suo mancato arrivo potrebbe rappresentare un problema?
“Ci dispiace averla persa perché si tratta di un progetto che avrebbe assicurato una certa stabilità dei livelli di occupazione, dato che i lavori sarebbero durati quattro mesi. Viceversa, bisogna anche considerare come la Mount Whitney avrebbe occupato determinati spazi nel cantiere che ora saranno vuoti. O, per meglio dire, liberi per accogliere altre unità”.
Chi è il vostro principale competitor?
“La Turchia”.
In percentuale, di quanto sono più economici i loro stabilimenti?
“Più che altro hanno il vantaggio di trovarsi sulle principali rotte marittime e ciò ci penalizza molto. Per arrivare al Lenac le navi devono infatti risalire tutto l’Adriatico e ciò si traduce in una perdita di tempo per gli armatori perché ci mettono due giorni per raggiungerci e altrettanti per tornare indietro, oltre a maggiori costi di carburante. Il nostro focus è dunque incentrato sugli armatori che gravitano nell’Adriatico”.
Tra cui anche quelli italiani visto che ultimamente avete accolto alcuni traghetti della Adria Ferries.
“Con loro abbiamo una collaborazione pluriennale e rientrano tra i nostri clienti più importanti. Più in generale, un terzo dei nostri ricavi ricade proprio su compagnie italiane”.
Avete iniziato bene l’anno dal momento che il cantiere è praticamente pieno: quali sono gli obiettivi per questo 2020?
“Vogliamo ripetere i risultati del 2019 sia in termini di ricavi che nel numero di interventi effettuati, quindi circa 60/70 commissioni. Sperando che il coronavirus non ci giochi un brutto scherzo…”.
Ed è proprio qui che volevo arrivare: è preoccupata per quello che sta succedendo?
“Un armatore ha rinviato una commissione alla prossima estate, probabilmente a causa della diffusione del virus, mentre altri ordini sono ancora in stand-by. A preoccuparci maggiormente è ciò che potrebbe accadere nei prossimi due o tre mesi, in particolare in relazione alla chiusura dei confini e per il fatto che i nostri clienti gravitano nei porti italiani, il che naturalmente complica ulteriormente un contesto già di per sé delicato”.
Si fanno sempre più insistenti i rumors sull’arrivo della Galeb. Alla Dalmont sono sprovvisti di un bacino di carenaggio…
“La Dalmont è uno dei nostri principali partner e come tale è nostro dovere renderci disponibili qualora gli servisse una mano. Siamo quindi pronti a far spazio nel cantiere per accogliere la Galeb nel momento in cui se ne presenterà la necessità”.
Ai due bandi di concorso per la sua riconversione nel museo galleggiante avevate sparato molto in alto ed entrambe le offerte sono state di gran lunga superiori a quelle della Dalmont. Perché?
“Il nostro cantiere è concepito diversamente rispetto alla Dalmont e come tale ci sono delle oggettive differenze nei costi. Non abbiamo mai preso in considerazione l’opzione di giocare al ribasso, soprattutto alla luce dei lavori su altri progetti. Sarebbe stato irragionevole abbassare la richiesta solo per aggiudicarsi l’appalto, quando d’altra parte ci sono commissioni ben più redditizie”.
Un anno e mezzo fa il Viktor Lenac era stato rilevato dal consorzio italiano Palumbo. Com’è il vostro rapporto con loro?
“Ottimo direi. Siamo rimasti indipendenti e abbiamo una nostra amministrazione autonoma. Palumbo, in qualità di socio di maggioranza, ha i suoi rappresentanti nel Consiglio di sorveglianza del Gruppo, con i quali c’è un dialogo aperto. Il loro arrivo si è rivelato come un importante slancio: abbiamo migliorato l’efficienza e aumentato la produttività, come si evince dai risultati ottenuti l’anno scorso. Da noi pretendono ciò che chiederebbe qualsiasi manager di successo, ovvero un business redditizio e uno sviluppo sostenibile dell’azienda”.

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