Una stella da riscoprire: quella dello Stato libero

La questione altoadriatica, la politica estera italiana, la Carta del Carnaro, il Trattato di Rapallo e altri aspetti storici e giuridici al centro di un convegno alla Facoltà di Giurisprudenza di Fiume

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Una stella da riscoprire: quella dello Stato libero

In una città che ancora trascura pagine del proprio passato ritenute scomode e fa fatica a confrontarsi su temi contemporanei delicati senza conflitto, rispettando i diversi punti di vista e le ragioni degli altri, una “lezione” arriva dalla Facoltà di Giurisprudenza di Fiume. Che chiamando a raccolta esperti di legge e storici, ha infatti affrontato in maniera serena e con argomenti alla mano, il centenario sia della costituzione dannunziana che del Trattato di Rapallo. E mentre fuori dagli ambienti universitari, principalmente sui social (ma non soltanto), impazzava la polemica su quella rossa (di memoria comunista) collocata in cima al Grattacielo di Fiume, studiosi e ricercatori rispolveravano un’altra stella a cinque punte: quella adottata come simbolo dal Consiglio Nazionale Italiano (1918-1920), come ha rilevato Alessandro Agrì, e che sarà poi ripresa dallo Stato libero di Fiume (1920-1924) e successivamente anche dell’Unione Sportiva Fiumana (1926-1945). Allo stesso tavolo, anche se virtualmente (con collegamenti video), cinque relatori, tre italiani e due croati, per una vicenda complessa, che – spesso con la complicità della politica – continua a dividere. In quest’occasione è stata rivista sotto la prospettiva storica e giuridica.

“È molto importante che storici e giuristi abbiano la possibilità di sviluppare contatti, di dialogare e discutere sulla base degli argomenti, lasciando fuori dalla porta la politica. In Croazia le sfide storiche non mancano, alcune sono molto traumatiche, ma bisogna parlarne e io intendo promuovere incontri di questo genere”, ha dichiarato Budislav Vukas Jr., moderatore della sessione di Storia del diritto incentrata sul centenario del Trattato di Rapallo nella prospettiva dei rapporti altoadriatici, promosso dalla Facoltà di Giurisprudenza dell’Ateneo fiumano nell’ambito della “Giornata di studio del Nord Adriatico – temi giuridici di attualità”. Tra le varie iniziative, Vukas Jr. ha accennato alla collaborazione instaurata con l’Associazione Coordinamento Adriatico, che lo scorso anno aveva organizzato a Gorizia il convegno “Il lungo Novecento. La questione adriatica e Fiume tra le due Conferenze di pace di Parigi 1919-1947”, incentrato sul centenario della spedizione di Gabriele d’Annunzio a Fiume, e nel corso del quale il professore fiumano aveva illustrato la Carta del Carnaro nelle letture fornite dalla storiografia croata.

I relatori dall’Italia si sono collegati con Fiume in videoconferenza

Un contesto delicato
Ha esordito Carlotta Latini, precisando che l’istituzione dello Stato libero fu l’approdo, la soluzione temporanea di una questione nella quale concorsero più spinte politiche, tanto in Italia quanto nel capoluogo del Quarnero, da quelle nazionaliste a quelle autonomiste, cui si sommarono una certa insensibilità (la linea pasticciona e rinunciataria) di Vittorio Emanuele Orlando – noto per aver rappresentato l’Italia nella Conferenza di Parigi del 1919 con il suo ministro degli Esteri, Sidney Sonnino – e una personalità forte, imprevedibile e strafottente come Gabriele d’Annunzio, che misero in seria difficoltà il governo sabaudo. Carlotta Latini ha ricostruito il delicato contesto, partendo dal mancato inserimento di Fiume nelle offerte del patto di Londra del 1915, passando per il fallimento dei negoziati di pace, il complesso quadro emerso dalle Politiche del 1919 (le prime a suffragio universale maschile) che videro l’affermazione dei socialisti e si svolsero proprio mentre il poeta soldato andava a Zara, i rapporti distanti con Mussolini, la Carta del Carnaro scritta dal vate insieme con Alceste De Ambris (il futuro duce la definì “un’esercitazione filologica”), la reazione (contrariata) della popolazione fiumana che non condivideva le scelte del Comandante… La volontà del nuovo ministro degli Esteri, Carlo Sforza, di chiudere le pendenze della Prima guerra mondiale, portò al trattato del 12 novembre 1920. Alimentando il risentimento dei nazionalisti. Nel marzo 1922 a Fiume fu fatto il “ribaltone” (fascisti e dannunziani attaccano il Palazzo del governo e costrinsero il presidente dello Stato libero, Riccardo Zanella a dimettersi) e qualche mese dopo la marcia su Roma.

Il prof. Davide Rossi fa parte (tra l’altro) del Direttivo di Coordinamento Adriatico

Annessione
Secondo alcuni giuristi, le autonomie di cui Fiume godeva grazie allo status di corpus separatum nell’ambito della Monarchia austroungarica, si tramutarono in indipendenza politica quando la Duplice crollò; dallo Stato di fatto si passò allo Stato di diritto già con la creazione del Consiglio Nazionale Italiano, che il 30 ottobre emanò il proclama di annessione della città all’Italia; quindi con l’occupazione e la Reggenza dannunziana. Alessandro Agrì nel suo intervento ne ha analizzato gli elementi caratterizzanti, come l’assetto normativo, che pur recependo l’eredità ungherese vedeva sedimentarsi nuove legislazioni, in primis quella italiana; i simboli; la struttura, le relazioni con altri Stati (Italia, Ungheria, Vaticano, Montenegro); l’affrancamento dalla diocesi di Segna e l’erezione dell’amministrazione apostolica di Fiume; il Natale di sangue, che può essere visto sia come uno scontro tra due Stati che come repressione di una ribellione…

Innovativa e avveniristica per l’Italia, ma non tanto per Fiume, dove già prima esisteva una normativa ungherese molto liberale in fatto di sanità, lavoro, divorzio… comprese molte delle libertà e dei diritti codificati da d’Annunzio nella sua costituzione. A farlo presente, Ines Matić Matešković, che ha offerto uno sguardo sulla Carta del Carnaro basato sulle osservazioni dello storico e giurista croato Ferdo Čulinović (autore del saggio “Riječka država. Od Londonskog pakta i Danuncijade do aneksije Italiji”, Lo Stato di Fiume. Dal patto di Londra e dall’Impresa dannunziana all’annessione all’Italia, 1953). Čulinović evidenzia l’ossessione per le antiche tradizioni romane nelle quali d’Annunzio trovò ispirazione, dal saluto a frasi come “Hic manebimus optime”, ai simboli ai cerimoniali, dalla tutela della proprietà privata all’uguaglianza davanti alla legge; dalla figura del Comandante inteso come il dictator romano alla divisione dei poteri, “che nella Carta è soltanto un proclama. In conclusione, possiamo dire che le disposizioni del documento a prima vista possono sembrare moderne – così Ines Matić Matešković –, ma che in effetti non erano così avanzate”.

La sede della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Fiume

Il ruolo di Francesco Salata
Le esperienze giuridiche delle “nuove province” – come furono definite le terre ora redente –, con i loro sviluppi giuridici così diversi, avrebbe potuto infondere nuova linfa e implementare un assetto normativo del Regno d’Italia ormai non più al passo con i cambiamenti della società e soprattutto lontano dalle nuove istanze sociali. Esperienze che – come ha spiegato Davide Rossi – potevano tornare utili. Insomma, l’Italia aveva l’opportunità di far propri gli istituti di queste terre, prendere in considerazione le necessità, le tradizioni e le consuetudini locali, piuttosto che procedere con una “piemontesizzazione”. Era quanto avevano cercato di far capire giuristi come Filippo Vassalli, Vittorio Scialoja e soprattutto Francesco Salata, che può ben essere considerato il vero e proprio deus ex machina del passaggio istituzionale delle province nordorientali sotto la sovranità italiana all’indomani della conclusione della Grande Guerra. Nato a Cherso, divenuto anche massimo responsabile dell’Ufficio Centrale per le Nuove Province, Salata si sforzò di promuovere il concetto di autonomia e decentramento amministrativo, teso a preservare quei privilegi burocratici goduti in precedenza sotto la sovranità dell’Impero austroungarico. Nei suoi discorsi citò a esempio, come modello, l’istituto della Dieta. Da una parte la dottrina, dall’altra la politica: alla fine prevalsero l’interesse nazionale e le tendenze centralistiche. Si esaurì anche il progetto della Sesta Sezione, l’organo del Consiglio di Stato creato ad hoc nel 1919 per risolvere i macchinosi rapporti di integrazione e omogeneizzazione tra l’ordinamento italiano e la macchina istituzionale imperiale, che per oltre un cinquantennio aveva retto Trento e Trieste con le rispettive province, l’Istria, Fiume e giù fino alla Dalmazia.

L’influenza socialista
Per quanto riguarda la Carta del Carnaro, alle visioni di Čulinović si è ricollegato pure Budislav Vukas Jr., evidenziando nella sua opera storiografica l’influenza socialista, l’ottima conoscenza delle fonti italiane – è un autore che “usa citazioni in lingua italiana per parlare di storia croata” – e del contesto diplomatico. Del documento dannunziano, Čulinović – dice Vukas Jr. – sottolinea la mancanza di ogni legittimità sul piano del diritto costituzionale, la definisce un conglomerato di valori liberali e di alcune formulazioni pseudo-socialiste, la considera il gesto teatrale di un poeta, che tra l’altro è consapevole che la Carta non si realizzerà mai. Tra gli storici croati, oltre a Čulinović, anche Željko Bartulović (analizzando soprattutto lo status del porto e di Sušak) e Bogdan Krizman si sono occupati del trattato di Rapallo e della posizione dello Stato libero di Fiume, mentre la preside della Facoltà di Giurisprudenza, Vesna Crnić Grotić, afferma – come riporta Vukas Jr. – che lo Stato fiumano è un esempio di Stato creato da accordi internazionali, ma di fatto un soggetto di diritto internazionale. Territorio, popolazione permanente, autorità sovrana, capacità giuridica, più un indubbio (ma anche non necessario) riconoscimento internazionale sono gli elementi costituenti della sua statualità.
Di Rapallo comunque si tornerà a discutere prossimamente, a giudicare dagli eventi annunciati per il mese di novembre. Tra questi, a Fiume, la tavola rotonda organizzata dall’Associazione Stato libero di Fiume in collaborazione con il Museo Civico e la Società di Studi Fiumani a Roma, mentre a Trieste l’Unione degli Istriani si farà promotrice di una serie d’importanti iniziative.

I temi e i relatori del dibattito
Con fil rouge “ll centenario del Trattato di Rapallo nei rapporti del Nord Adriatico. La prospettiva storica e giuridica”, durante la sessione di Storia del diritto – che si è svolta nell’ambito della giornata di studi promossa dalla Facoltà di Giurisprudenza di Fiume il 21 settembre scorso –, sono stati discussi i seguenti temi: Carlotta Latini (Università degli Studi di Camerino) ha passato in rassegna la questione adriatica e la soluzione emersa dal Trattato di Rapallo; Alessandro Agrì (Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia) ha presentato lo Stato di Fiume e il suo diritto (1919-1920); Ines Matić Matešković (Università degli Studi di Fiume) ha offerto delle riflessioni sul centenario della Carta del Carnaro; Davide Rossi (Università degli Studi di Trieste) prendendo spunto dalle frase “Il perpetuare entro i nuovi confini del regno due legislazioni è impossibile”, si è occupato dei mutamenti territoriali e delle conseguenze giuridiche nella Venezia Giulia alla fine della Grande Guerra; mentre Budislav Vukas Jr. (Università degli Studi di Fiume), che ha fatto anche da moderatore, ha affrontato la questione di Fiume e il Trattato di Rapallo nelle prospettive della storiografia giuridica croata.

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