Tracce evanescenti di un’epoca lontanissima

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Tracce evanescenti di un’epoca lontanissima

Le celebrazioni dei 300 anni dalla proclamazione del Porto franco di Fiume non servono unicamente a riflettere sul passato, presente e futuro dello scalo quarnerino, ma sono anche una preziosa occasione per accendere una nuova luce sull’importanza della valorizzazione e conservazione dell’immenso patrimonio artistico e architettonico che cela la città. Sono infatti numerosissime le testimonianze di quell’epoca così lontana: tracce evanescenti e impercettibili disseminate in tutti gli angoli e riportate “a galla” ieri sera nel corso dell’interessante lezione tenuta nell’Aula consiliare dal conservatore e archivista Nenad Labus.

Leopoldo e Carlo

“Prendiamo ad esempio la Torre civica – esordisce il relatore –. Qui troviamo gli altorilievi degli imperatori Leopoldo I d’Asburgo e Carlo VI, realizzati nel 1728 in occasione della visita di quest’ultimo a Fiume. Parallelamente a Trieste, in piazza Unità, venne realizzata la statua di Carlo VI per lo stesso motivo e sempre nello stesso anno. Tuttavia, oggi le due sculture non si trovano nel punto originale: una spiegazione plausibile potrebbe essere legata al fatto che sia intercorso un arco temporale molto breve tra l’annuncio della visita e la visita stessa, per cui molto probabilmente i busti originali erano stati realizzati in tutta fretta in legno, e solo in un secondo momento in pietra, quando furono anche collocati nel punto dove li troviamo oggi”.
Altro tesoro nascosto è il mandracchio realizzato immediatamente dopo l’istituzione della “free zone”. “Fu costruito poco dopo la concessione della Patente nella parte occidentale del porto, all’altezza dell’odierna stazione ferroviaria. A segnare la sua fine fu proprio la ferrovia per la cui costruzione esso finì sepolto. Se in futuro questa zona dovesse essere oggetto di scavi, sicuramente il mandracchio tornerà alla luce e per di più in buone condizioni perché è stato semplicemente sepolto e non demolito”.

Carolina e Dorotea

Un’altra preziosa testimonianza della visita di Carlo VI è il monumento della Piramide a Pećine, sulla biforcazione di due strade: la celebre Carolina, realizzata per volere dello stesso Carlo VI, e la meno nota Dorotea, costruita un secolo più tardi per collegare la città al lazzaretto, all’epoca da poco innalzato nella baia di San Martino.
“Sul monumento compariva un’iscrizione relativa alla visita dell’imperatore che purtroppo è andata persa durante la Seconda guerra mondiale in quanto l’obelisco venne gravemente danneggiato in seguito ai bombardamenti. La Piramide fu ovviamente ricostruita, ma recuperare la scritta fu impossibile. Quanto alla strada Carolina, oggi mi fa sorridere sentire la gente lamentarsi del fatto come si tratti di un percorso stretto e ripido: ebbene, dovete sapere che essa era una semplice mulattiera pensata per il passaggio di carovane con animali da soma e non certamente per carri e carrozze come in tanti erroneamente credono. Capirete che asini e muli non hanno certo bisogno di strade confortevoli… La via per il trasporto di diligenze tra Fiume e Trieste venne inaugurata appena nel 1794, quindi quasi 70 anni dopo la Carolina, e quelle per Zagabria e Segna solamente nella prima metà dell’Ottocento”, ha concluso Nenad Labus.
Le celebrazioni per il 300º anniversario proseguono stasera con lo spettacolo teatrale “Anche le stelle hanno il singhiozzo”, che andrà in scena nella sede della Comunità degli Italiani con inizio alle ore 19.

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