L’acqua è la base della vita, una risorsa silenziosa ma imprescindibile, senza la quale ogni forma di esistenza cesserebbe. Essa accompagna ogni processo vitale, a partire dalla più semplice reazione chimica nelle cellule fino alle complesse dinamiche ecologiche che regolano gli equilibri del pianeta.
È per questi motivi che nell’ambito del progetto “La scienza al mercoledì”, organizzato dal Festival Opatija in collaborazione con la Facoltà di Fisica di Fiume, si è deciso di affrontare il tema: “Resteremo senza acqua potabile? Soluzioni per la purificazione delle acque reflue”. L’incontro, il primo dei tre previsti per il mese di giugno, si è svolto al Centro Moho di Volosca, dove Martina Kocijan, ricercatrice della suddetta Facoltà, ha parlato del tema.
“L’acqua non solo copre circa il 71% della superficie terrestre, ma costituisce anche una parte essenziale dell’organismo umano: si stima che il corpo di un adulto sia composto per circa il 60% da acqua, percentuale che sale fino al 75% nei neonati. Organi come il cervello e i reni contengono ancora più acqua: rispettivamente circa il 75% e l’80%. Senza un adeguato apporto idrico, il corpo entra rapidamente in uno stato di disidratazione che compromette prima le funzioni cognitive, poi quelle metaboliche, fino ad arrivare alla compromissione sistemica. Un essere umano può sopravvivere settimane senza cibo, ma raramente più di tre giorni senza acqua”, è con queste considerazioni che è iniziata la lezione della ricercatrice, che ha poi spiegato come a livello globale l’acqua non sia distribuita in modo equo.

Foto: IVOR HRELJANOVIĆ
Distribuzione
Circa il 97% dell’acqua presente sul pianeta è salata, contenuta negli oceani e nei mari. Solo il 3% è dolce, ma di questa parte, una porzione considerevole è intrappolata nei ghiacci polari o nelle calotte glaciali. Ciò significa che meno dell’1% dell’acqua totale è realmente disponibile per l’uso umano diretto: nei laghi, nei fiumi, nelle falde sotterranee. È questa l’acqua che possiamo bere, con cui possiamo irrigare i campi, lavare, cucinare, vivere. “Le regioni equatoriali, le aree montuose e certi bacini fluviali sono ricchi di risorse idriche, mentre altre zone – come il Medio Oriente, il Nord Africa o l’Asia centrale – ne sono cronicamente carenti. Tra i Paesi con le maggiori risorse idriche troviamo il Brasile, il Canada, la Russia, l’Indonesia e la Cina, che insieme possiedono circa la metà dell’acqua dolce del pianeta. Al contrario, Paesi come il Kuwait, il Bahrein e il Qatar dipendono in gran parte dalla desalinizzazione o dall’importazione. La Croazia, sorprendentemente, si colloca tra i Paesi europei più ricchi d’acqua dolce pro capite, grazie ai numerosi fiumi, ai laghi e alle abbondanti falde sotterranee: si tratta di un patrimonio prezioso e strategico, da salvaguardare con attenzione”, ha spiegato Martina Kocijan. Appare dunque evidente come un’eventuale scarsità d’acqua, elemento – ripetiamo – fondamentale e indispensabile per ogni forma di vita, potrebbe andare a cambiare sia l’economia che la geopolitica. Ma in futuro ci saranno scarsità d’acqua potabile o no?
Il caso dell’Istria
Negli scorsi anni abbiamo assistito, anche qui in Croazia, a dei periodi in cui ci sono state delle restrizioni sull’uso dell’acqua dolce. “Questi fenomeni si verificano in estate, durante periodi di siccità prolungata, quando non ci sono nuove precipitazioni e la temperatura elevata accelera il processo di evaporazione. La Croazia in generale non dovrebbe comunque soffrire di questi problemi, perché ha molte risorse idriche in profondità, ma si possono presentare problemi a livello locale, ad esempio per quelle famiglie che non sono allacciate alla rete idrica bensì usano dei pozzi e delle cisterne che hanno una capacità limitata. Un caso particolare è quello dell’Istria, che non è allacciata alla rete idrica nazionale, ma ha un suo bacino, che è costituito dal lago di Bottonega. Quello infatti è un bacino d’accumulo che si riempie grazie all’acqua piovana ed è dunque soggetto al fenomeno che abbiamo appena spiegato”, ha affermato la ricercatrice, spiegando poi che seppure la Croazia sia al sicuro per quanto riguarda le scorte d’acqua, è necessario pensare anche alle future generazioni e più in generale alla gestione delle risorse sul territorio. Appare dunque evidente la necessità di pensare a processi di riciclaggio dell’acqua. “La gestione e il trattamento delle acque sono diventati un punto cardine per ogni società moderna. I processi di depurazione si articolano in più fasi: inizialmente l’acqua reflua passa attraverso una grigliatura per rimuovere i materiali solidi più grossolani, poi subisce una sedimentazione primaria dove le particelle più pesanti si depositano sul fondo. Segue il trattamento biologico, spesso a fanghi attivi, dove i microrganismi degradano la materia organica disciolta. In alcuni casi si procede anche alla rimozione dei nutrienti (azoto e fosforo) per evitare l’eutrofizzazione dei corsi d’acqua.
I consumi
Infine, una fase di disinfezione – spesso a base di cloro, ozono o raggi UV – elimina i patogeni residui. L’acqua così trattata può essere restituita all’ambiente in sicurezza, oppure riutilizzata in agricoltura, nell’industria o persino, in casi avanzati, reinserita nel ciclo potabile”, ha spiegato la ricercatrice in una parte più tecnica della lezione. “Troppo spesso però si trascura il problema dello spreco, soprattutto in ambito domestico. Una famiglia di quattro persone in Croazia consuma in media tra i 500 e i 600 litri al giorno. Di questi, la parte più consistente viene usata per lavare, dai vestiti alle stoviglie, per i servizi igienici, e per l’igiene personale. Un singolo scarico del WC può utilizzare tra i 6 e i 12 litri d’acqua, una doccia fino a 80 litri, mentre un bagno completo supera i 120. Per ridurre questi numeri, sono sufficienti piccoli accorgimenti: installare riduttori di flusso, usare elettrodomestici efficienti, fare docce più brevi, raccogliere l’acqua piovana per irrigare le piante, riutilizzare l’acqua di lavaggio per scopi secondari. Anche la manutenzione di tubature e rubinetti, spesso trascurata, può ridurre drasticamente le perdite. Non meno rilevante è l’uso industriale dell’acqua, che rappresenta una porzione imponente del consumo totale – superiore persino a quella domestica in molte realtà. In agricoltura, ad esempio, l’irrigazione inefficiente può disperdere fino al 50% dell’acqua impiegata. Le industrie chimiche, tessili o alimentari consumano milioni di litri al giorno e, se non dotate di sistemi di riciclo, contribuiscono significativamente all’inquinamento. Anche qui, soluzioni ci sono: processi a ciclo chiuso, raffreddamento ad aria, tecnologie di trattamento in situ, monitoraggio digitale dei consumi, ma bisogna stare molto attenti ai processi a lungo termine degli inquinanti residui”, ha spiegato.

Foto: IVOR HRELJANOVIĆ
Conflitti per l’acqua?
Oltre agli aspetti ambientali, l’acqua ha una valenza politica e strategica che va crescendo. Le risorse idriche sono già oggi fonte di tensione internazionale in molte aree del mondo: pensiamo al bacino del Nilo, al fiume Giordano, al Tigri e all’Eufrate, dove le rivendicazioni tra Stati per il controllo delle sorgenti o del deflusso idrico minacciano la stabilità geopolitica. In Asia, la costruzione di dighe sul Brahmaputra o sul Mekong ha generato tensioni tra Cina e Paesi limitrofi. Il rischio che in futuro si verifichino veri e propri conflitti per l’acqua potabile è concreto, soprattutto se si considera l’effetto combinato di crisi climatiche, migrazioni forzate, desertificazione e crescita demografica. Ma non serve andare in Paesi dai nomi esotici per incontrare problemi legati alla gestione dell’acqua. Negli Stati Uniti, la questione della spartizione delle acque del Mississippi – o, per essere più precisi, delle acque del suo vastissimo bacino idrografico – è diventata emblematica di come la domanda possa superare l’effettiva disponibilità, portando a una situazione definita da alcuni esperti come di “over-allocation”, cioè assegnazione eccessiva rispetto alla quantità reale disponibile.
Over-allocation
Il Mississippi è il secondo fiume più lungo del Nord America e il suo bacino copre circa il 40% degli Stati Uniti continentali. Serve decine di milioni di persone e sostiene settori cruciali come l’agricoltura, l’industria, il trasporto fluviale e l’approvvigionamento urbano. Tuttavia, nonostante la sua imponenza, l’acqua del Mississippi non è infinita e la crescente pressione sulle sue risorse ha fatto emergere squilibri preoccupanti. Quello che accade è che ogni Stato attraversato dal fiume o dai suoi affluenti ha diritti d’uso stabiliti in base a normative federali, interstatali o locali, molte delle quali risalgono a periodi storici in cui la disponibilità d’acqua sembrava illimitata e la popolazione molto inferiore. Questi accordi, nel tempo, non sono stati ricalibrati in base ai cambiamenti climatici, alla crescita urbana, all’intensificazione dell’agricoltura o all’industrializzazione. Così, la quantità “legale” di acqua che può essere prelevata o utilizzata da ogni Stato risulta, nella somma totale, superiore alla reale portata sostenibile del fiume in certi periodi dell’anno, soprattutto durante le siccità.
Questa sovra-assegnazione crea conflitti tra Stati, e tra settori produttivi, aggravati dal fatto che negli USA il sistema giuridico che regola l’acqua si basa su due principi differenti: il “riparian right” (diritto dei proprietari dei terreni lungo il corso d’acqua) usato a Est, e il “prior appropriation doctrine” (chi usa per primo ha più diritti) diffuso a Ovest. Questo crea disomogeneità nell’interpretazione e nell’applicazione delle leggi sull’acqua, rendendo difficile una gestione integrata a livello federale.
In sostanza, negli Stati Uniti, l’acqua del bacino del Mississippi viene legalmente spartita in misura superiore alla sua reale disponibilità perché gli accordi esistenti non tengono conto del nuovo contesto idrologico, climatico e demografico. Si tratta di un sistema costruito su proiezioni ottimistiche del passato che oggi si scontra con una realtà molto più complessa. Questo scenario rende evidente la necessità di riforme profonde nella governance dell’acqua, in America come altrove.
Salvaguardia del territorio
“In questo scenario, la gestione pubblica delle risorse idriche assume un’importanza decisiva. Alcuni Paesi e molte regioni hanno già introdotto politiche per impedire la privatizzazione delle fonti, ritenendo l’acqua un bene comune inalienabile. In Italia, ad esempio, un referendum del 2011 ha sancito il principio che la gestione dell’acqua debba restare pubblica, anche se in molti territori questo indirizzo è ancora soggetto a interpretazioni. In Croazia, numerose sorgenti e fiumi sono tutelati da normative ambientali rigorose, e diverse associazioni chiedono una tutela costituzionale per impedire qualsiasi forma di speculazione. Le politiche locali dovrebbero incentivare la protezione delle aree sorgive, il monitoraggio della qualità dell’acqua, la manutenzione delle infrastrutture e la partecipazione attiva dei cittadini”, ha dichiarato ancora la ricercatrice Martina Kocijan.
In conclusione, l’acqua è un bene prezioso, troppo spesso dato per scontato. È fonte di vita, ma può anche diventare motivo di conflitto. Ogni goccia che sprechiamo è una goccia in meno per il futuro. L’impegno individuale e collettivo, politico e tecnologico, è l’unica via per garantire che questo elemento fondamentale continui a scorrere, pulito e disponibile, per tutti.
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