Pronto soccorso: un team vincente

A tutto tondo con il medico, dott.ssa Martina Pavletić, una delle vincitrici del riconoscimento annuale «Città di Fiume»

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Pronto soccorso: un team vincente
La responsabile del Pronto soccorso unificato di Fiume e Sušak, dott.ssa Martina Pavletić. Foto: RONI BRMALJ

A Martina Pavletić, responsabile del Pronto soccorso unificato di Fiume e Sušak, che opera nell’ambito del Centro clinico-ospedaliero, è stato assegnato quest’anno il Premio Città di Fiume per i progressi e i significativi risultati nel campo della medicina e della lotta contro la pandemia causata dal Covid-19. Un riconoscimento che, come affermato dalla lei stessa, ha un grande significato non soltanto per lei, ma anche e soprattutto per il suo team, che ha lavorato ininterrottamente nel corso degli ultimi due anni segnati dal virus. Anche se in questo lungo lasso di tempo si è prestata tanto nella lotta contro la pandemia, purtroppo nel giorno stesso della consegna dei premi – svoltasi nella splendida cornice del TNC “Ivan de Zajc” – non ha potuto assistere all’evento in quanto colpita proprio dal Covid-19. L’abbiamo incontrata, una volta che ne è uscita, nel suo ufficio in località Sušak, per conoscerla meglio e scoprire quali sono stati i progressi raggiunti nel campo della medicina d’urgenza negli ultimi anni. “Mi sono diplomata nel 2000 – ha esordito – e poi per quattro anni ho lavorato come ricercatore alle prime armi presso la Cattedra e la Clinica di pediatria. In seguito mi sono specializzata in medicina interna, precisamente in nefrologia, ho ottenuto il dottorato e dal 2015 sono responsabile del Pronto soccorso del CCO di Fiume, località Sušak. In seguito ho ottenuto la specializzazione in medicina intensiva e dal 2017 sono diventata responsabile del Pronto soccorso unificato di Fiume e Sušak. Nel frattempo siamo stati colpiti dalla pandemia e, vista la mia funzione, ho fatto parte della Task force del CCO. Con l’arrivo del nuovo direttore, il dott. Alen Ružić, sono diventata presidente dello stesso, funzione che ho ricoperto fino a pochi mesi fa. Assieme abbiamo fondato l’Istituto multidisciplinare per la cura dei malati da Covid, del quale ero e sono ancora sempre responsabile. Abbiamo avuto in totale 7 unità Covid e due Centri per la respirazione. Questi ultimi due sono guidati da Alan Šustić, a capo dell’Istituto per la medicina d’urgenza e titolare della Cattedra di anestesiologia, rianimatologia, medicina d’urgenza e intensiva della Facoltà di Medicina e Alen Protić, primario della Clinica di anestesiologia, medicina intensiva e terapia del dolore”, ha proseguito la nostra interlocutrice.

Il premio le è stato assegnato soprattutto per gli sforzi profusi durante la pandemia.
“Il riconoscimento è andato ai progressi nel campo della medicina d’urgenza nel periodo della pandemia. Nel 2017, nel Pronto soccorso sono giunti i primi due specialisti di medicina d’urgenza e da allora abbiamo un personale alla pari come quello nei centri più grandi in varie parti dell’Europa e del mondo. Da quel momento abbiamo continuato a sviluppare ulteriormente il nostro lavoro e grazie, purtroppo, alla pandemia abbiamo avuto modo d’imparare tantissimo e di fare nuove esperienze in questo campo, il che ha dato una marcia in più al nostro mestiere. Naturalmente ci sono stati fattori positivi, ma anche quelli negativi, rappresentati dalla pandemia come tale. Durante questo periodo abbiamo lavorato e fatto tantissimo per salvare vite umane”.

Concretamente, quali sono le novità introdotte in pandemia?
“Ci sono cose che venivano praticate anche prima, come la ventilazione non invasiva, però durante il Covid abbiamo acquisito maggiore esperienza. Abbiamo avuto modo di capire come risolvere determinati problemi di respirazione causati dall’infezione ai polmoni. Gran parte dei pazienti che sono giunti al Pronto soccorso sono stati sottoposti a questo tipo di ventilazione prima di venir trasferiti, se necessario, nel Centro di respirazione dove poi venivano seguiti dagli anestesiologi e altro personale medico. Abbiamo avuto molti casi d’intubazione difficile, cosa che prima della pandemia accadeva raramente. Il nostro personale ha avuto parecchio da fare con i pazienti in ventilazione non invasiva, perché dovevano tenerli sempre sotto controllo, a differenza di quella assistita dove la ‘macchina’ respira per conto della persona intubata e sotto anestesia. Se per i pazienti la prima versione è molto più facile e meno traumatica, per i medici richiede molto più lavoro. Comunque, nel Centro di respirazione assistita venivano mandati solo quei pazienti la cui vita era in pericolo. All’inizio della pandemia, abbiamo ricevuto anche il frigorifero per le sacche di sangue per le trasfusioni di massa in casi d’emergenza, dove ci sono sempre due unità di sangue 0 negativo”.

Di quanto è aumentato in generale il numero dei pazienti in pandemia?
“Nel corso della prima ondata abbiamo avuto meno pazienti, anche perché eravamo in lockdown e quindi le persone che magari sarebbero venute per dei piccoli problemi, non l’hanno fatto. Poi, nella seconda e terza ondata il numero si è stabilizzato. Ora, durante i mesi estivi, tradizionalmente il numero dei pazienti in generale aumenta del 30 p.c. circa. Devo dire che in totale la cifra aumenta annualmente del 7 p.c. Se nel 1995 avevamo 18mila pazienti all’anno, oggi ne abbiamo 55mila. Il motivo sarà probabilmente l’età della popolazione o il fatto che al giorno d’oggi le persone chiedono il nostro aiuto per ogni singolo problema che potrebbe venire risolto anche a casa. Dobbiamo lavorare di più sull’educazione della popolazione, ma anche del personale medico. L’intento è di aprire, a livello europeo, dei reparti geriatrici nel Pronto soccorso, in quanto le persone anziane hanno delle necessità diverse da quelle dei più giovani. Lo stesso vale per i pazienti oncologici, che al giorno d’oggi possono venire curati come pazienti cronici e che hanno spesso bisogno di un soccorso tempestivo. Durante la pandemia è stato molto difficile organizzare il lavoro perché dovevamo dividere i pazienti in tre categorie: quelli positivi, quelli che potrebbero essere positivi e quelli per i quali sapevamo che sono negativi e che non dovevano venire in contatto con i primi. Abbiamo fatto un grandissimo sforzo per evitare che il virus penetri anche nel Pronto soccorso e ce l’abbiamo fatta”.

Quanto significa per lei il premio ricevuto?
“Dal punto di vista personale tantissimo, ma è un riconoscimento a tutto il team in quanto tutto il reparto ha fatto tantissimo per la Città e per la Regione in generale. Quando ho saputo che il dott. Šustić ha deciso di candidarmi, per me è stato un grandissimo onore. Se anche non fosse arrivato il premio, questo suo riconoscimento significa tanto per tutti noi. Lui è stato il mentore di tutti i medici del mio team e ha fatto moltissimo anche per i giovani colleghi che ci si sono aggregati. Ciò che sicuramente ha convinto la giuria ad assegnarmi questo riconoscimento è stata l’apertura del laboratorio per la diagnostica molecolare rapida nella medicina d’urgenza realizzato dal CCO in collaborazione con il Centro di proteomica della Facoltà di Medicina di Fiume. Il laboratorio è stato il frutto del lavoro innovativo degli scienziati fiumani e il vantaggio maggiore è che è in grado di ridurre i tempi della diagnostica PCR (reazione a catena della polimerasi) a sole 3-6 ore. Si tratta di un nuovo metodo che ha migliorato la sicurezza del sistema ospedaliero, sia per quanto riguarda la diffusione del virus, sia per i tempi rapidi di ottenimento dei risultati delle analisi al SARS-CoV-2. Infatti, nell’ultima grande ondata siamo riusciti a effettuare fino a 400 analisi al giorno”.

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