Mirine-Fulfinum continua a stupire

Gli scavi effettuati di recente nel sito archeologico situato nella baia Sepen vicino a Castelmuschio, sull’isola di Veglia, hanno portato alla luce nuove e preziose scoperte relative alla villa tardoantica eretta nel IV secolo

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Mirine-Fulfinum continua a stupire

Un autentico salto nel passato. Si potrebbe definire così la visita all’antico sito archeologico Mirine-Fulfinum che sorge nella baia Sepen a Castelmuschio, sull’isola di Veglia. Durante gli ultimi scavi, che si sono svolti tra la fine luglio e gli inizi di agosto, gli archeologi hanno portato alla luce nuove scoperte. Dopo aver effettuato i primi studi sulla villa tardoantica, che apparteneva a un personaggio molto importante, è stato appurato che i resti sono probabilmente molto più rilevanti di quello che in un primo momento si pensava.

L’archeologa Morana Čaušević Bully

“Possiamo confermare che la villa è molto più grande di quello che credevamo – spiega Morana Čaušević Bully, archeologa e docente presso la Université Bourgogne Franche-Comté di Besancon (Francia) –. Costruita nel IV secolo, è stata utilizzata fino al VII. Questo complesso rientra nell’ambito delle ricerche scientifiche del programma ‘Complessi ecclesiastici nel Quarnero dal IV all’XI secolo’. La zona di Mirine è molto interessante in quanto custodisce i resti di una chiesa paleocristiana eretta nella prima metà del V secolo e noi volevamo scoprire il perché della sua esistenza. Dopo vari studi ora possiamo affermare con certezza che il proprietario della villa, evidentemente molto ricco, ha sicuramente costruito anche la chiesa che si trova nelle immediate vicinanze. Oltre alla parte abitativa, nella villa veniva anche prodotto l’olio d’oliva. Infatti, abbiamo trovato dei resti che indicano come avveniva la produzione, come veniva separato l’olio dall’acqua e come venivano utilizzate le varie vasche per il travaso. Questa zona è un sito archeologico davvero molto ricco di reperti dal grandissimo valore, come ad esempio anfore, porcellane e ceramiche, ma quello di maggior pregio è il pettine di Mirine, realizzato in avorio, che veniva usato nelle funzioni liturgiche. Inoltre, a dimostrazione che il proprietario era un personaggio facoltoso e influente, abbiamo trovato una spilla che di solito adornava le divise di persone di un certo status”.

Il pettine di Mirine

Un centro interpretativo in futuro
A condurre gli scavi sono stati diversi studenti provenienti dalla Francia e dall’Italia. Ora gli archeologi dovranno smistare tutto ciò che è emerso, cercare di capire di che cosa si tratta, determinare il periodo al quale appartengono ed effettuare varie analisi. “Gli scavi riprenderanno probabilmente la prossima primavera visto che i fondi che otteniamo ogni anno sono sufficienti soltanto per un dato tipo di ricerche. Per quanto riguarda invece i programmi legati al parco archeologico, si tratta di un progetto sul quale lavoriamo già da anni, anche se per ora i risultati non sono visibili a occhio nudo. Infatti, sono già stati redatti vari dossier che saranno la base per tutte le attività future. Abbiamo già in mente un piano che riguarda il parco, nonché il progetto per la realizzazione delle aree verdi, della passeggiata e la classificazione di tutti i reperti ritrovati. Il sito archeologico si estende su un’area di circa 15 ettari, uno dei più grandi esistenti nel Quarnero e quello meglio conservato”, spiega la nostra interlocutrice, confermando che l’interesse da parte dei visitatori sta crescendo nel tempo. “Le persone che vengono a fare il bagno nelle spiagge vicine, quando vedono che c’è qualcosa che succede in loco, si avvicinano chiedendo informazioni. Di pomeriggio amano visitare le chiesetta, nel cui giardino di sera si svolgono vari eventi culturali”, aggiunge Morana. La nostra intenzione è quella di realizzare in futuro tutta una serie di contenuti fruibili anche mediante tablet o smartphone, un centro interpretativo nel quale potranno venire esposti tutti gli oggetti ritrovati e conoscere così tutte le peculiarità legate al sito archeologico e più in generale a tutta l’isola di Veglia.
Collaborazione con Francia e Italia
Oltre all’associazione AIPAK, che ha come obiettivo portare avanti ricerche archeologiche e promuovere l’archeologia del Quarnero, nelle ricerche a Castelmuschio sono inclusi anche vari istituti stranieri. “Visto che sono la responsabile degli scavi, nonché docente presso l’Université Bourgogne Franche-Comté di Besancon, quest’ultima è stata inclusa come partner del progetto, assieme all’Istituto del centro nazionale per le ricerche scientifiche di Besançon, nonché l’Istituto ARTEHIS di Digione, sempre in Francia. A questi si è unita anche la Scuola francese con sede a Roma. Questo programma viene finanziato dal Ministero della Cultura della Repubblica di Croazia, dal Ministero degli Affari esteri della Francia e, per quanto riguarda gli scavi a Mirine, dal Comune di Castelmuschio. Purtroppo quest’anno, a causa della situazione legata all’emergenza sanitaria, non abbiamo ricevuto i mezzi provenienti dallo Stato croato. Ci tengo poi a sottolineare che i lavori in quest’area si svolgono anche nell’ambito del progetto promosso dal Comune di Castelmuschio ‘Parco archeologico Mirine-Fulfinum’, del quale quest’anno è entrato far parte anche l’iniziativa TRANSFER, che mira a integrare il modello di gestione autosostenibile dei parchi archeologici che fanno parte del programma Interreg ADRION, ovvero una collaborazione ionico-adriatica.

Mirine-Fulfinum è uno dei siti archeologici meglio conservati dell’intero Quarnero

Titolare del programma è l’Università degli Studi di Macerata. Si tratta di un progetto molto interessante in quanto lo scopo principale è quello di fare in modo che tutti i parchi archeologici che vi rientrano abbiano un fine, che vengano visitati e che offrano anche dei contenuti di tipo tecnologico perché altrimenti non possono avere un futuro e nemmeno i ricavi necessari per potersi finanziare. Il progetto ha preso il via lo scorso 1° febbraio e si concluderà a luglio del 2022”, ha infine spiegato Morana Čaušević Bully.

Il sito archeologico visto dall’alto

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