Fiume. Le roccaforti sul colle di Santa Croce

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Fiume. Le roccaforti sul colle di Santa Croce
Il fortino 3. Foto: ŽELJKO JERNEIĆ

Altra tappa, altre sorprese. Rimanendo nel rione di Vežica superiore, dopo aver visitato i fortini “Vežica 1” e “Vežica 2”, sempre all’instancabile scoperta di costruzioni militari e accompagnati dalla nostra immancabile guida, il collega Igor Kramarsich, abbiamo deciso di salire sul colle di Santa Croce (Sveti Križ) e raggiungerne altri due, contrassegnati quali “Vežica 3” e “Vežica 4”. In cima allo stesso, ubicato a soli tre chilometri dal centro cittadino e considerato il più antico sito archeologico del capoluogo quarnerino, abbiamo posteggiato nei pressi del Centro astronomico di Punta croce, per molti versi unico in questo lembo d’Europa, ospitato all’interno di una fortezza militare della Seconda guerra mondiale. Accarezzati dalla fresca brezza quarnerina (il punto più alto del monte sul livello del mare raggiunge i 219 metri) e affascinati dalle vedute e dal paesaggio circostante, definito da una vegetazione submediterranea, caratterizzata da notevoli differenze di copertura vegetale, molto spesso ruderale, con brandelli a naturalità più elevata nella parte superiore del monte e da un forte impatto di percorsi e momenti sassosi in quello inferiore, abbiamo intrapreso il cammino verso la prima casamatta. Nell’attraversare il percorso/parco (dichiarato patrimonio culturale nel 2006) ci siamo subito imbattuti nella chiesetta medievale di Santa Croce, dalla quale la zona ha preso il nome, nei cui pressi sono state rinvenute la più breve iscrizione glagolitica del XIII secolo e una statuetta della Lupa capitolina, conservata nel Museo di marineria e storia del Litorale croato. Da lì, il crinale della collina si restringe sempre più, fino a ridursi, in qualche tratto, a un sottile “filo”, a volte largo mezzo metro o poco più, a strapiombo sul versante destro (in andata), tantoché pare quasi di camminare a mezz’aria, sospesi nel vuoto.

Casematte o rocce?
La prima struttura che abbiamo raggiunto, molto piccola e bene in vista, non presenta aperture di alcun tipo, né rivela altri dettagli, se non un massiccio ingresso in metallo azzurro, a tratti arrugginito, sbarrato con lucchetto e catena. Ci siamo fermati giusto il tempo per scattare qualche foto, rammaricarci di non potervici entrare e abbiamo proseguito. Andando successivamente incontro alla casamatta “Vežica 3” non potevamo, ogni tanto, non soffermarci ad ammirare la maestosa vista che quel luogo regala, coinvolgente tutto il Golfo del Quarnero, le isole di Cherso e Veglia, il Monte Maggiore e gli insediamenti periferici siti nella parte occidentale della città. Dopo una decina di minuti ci si è presentato davanti il suddetto bunker, compatto e dalle forme ben definite, interamente ricoperto da cemento armato grigio chiaro, il quale caratterizza tutte le fortificazioni del rione costruite, come accennato nell’appuntamento precedente, secondo le linee guida fornite nel 1938 nella cosiddetta “Circolare 7000”. Anch’esso, come il “Vežica 4”, situato a una ventina di minuti di cammino da quest’ultimo e come gli altri visitati in precedenza, è stato costruito dopo il 1941 per mano dell’esercito italiano il quale, oltre ai fortini ubicati su entrambi i lati delle pendici della collina, ha edificato altresì una serie di gallerie sotterranee contraddistinte da svariati ingressi, ben mascherati e oggidì pressoché irraggiungibili. Ciò che cade subito nell’occhio è, nonostante l’esposizione alle intemperie e al tempo che passa, l’ottimo stato di conservazione della costruzione, cosparsa da una miriade di fori di pallottole che circondano l’unica scappattoia sulla parete principale, testimoni dei conflitti che furono, come pure da scritte e graffiti colorati, risalente a tempi recenti.
A proposito dello stesso, e di quello situato nella parte settentrionale del monte, rivolto verso la valle di Draga (costruito al fine di avere il controllo sul traffico ferroviario e sulla strada per Zagabria) – che, successivamente, abbiamo raggiunto affrontando, tra cespugli, rocce e rami ingrati, svariate discese e salite boschive –, Vladimir Tonić (nel suo manuale “Le fortificazioni del baluardo alpino”) scrive: “I bunker 3 e 4 sono la dimostrazione della cura che si prestava nella loro costruzione, caratterizzata da un eccellente cammuffamento con strati di pietra e sassi, teso a dare loro l’aspetto delle rocce carsiche, al posizionamento dell’ingresso in zone nascoste, anch’esso perfettamente mimetizzato con l’ambiente circostante”. Lo conferma altresì lo scrittore e saggista fiumano, Velid Đekić, nell’articolo “Fiume è uno Stato sotterraneo” (“Rijeka je podzemna država”), pubblicato sul quotidiano regionale in versione online “Torpedo media”, in cui riferisce che “le casematte sul colle di Santa Croce non sono state edificate seguendo un preciso schema architettonico secondo il quale adattare il terreno alle stesse, bensì secondo una logica ‘al contrario’, ovvero assestandole in base alla conformazione dell’ambiente, di modo che da esso venissero immerse e assorbite”. Infatti, passeggiando attorno, sopra e sotto i fortini 3 e 4 di Vežica superiore, ci si rende perfettamente conto della verità delle parole degli esperti e ci si sorprende di come, in luoghi così ostici a qualsiasi tipo di intervento, l’uomo sia riuscito a edificare (purtroppo senza portarle a termine) strutture così specifiche.

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