Inquinamento dai relitti: non c’è ragione di temere

Al Centro operativo regionale per l’attuazione del Piano d’intervento (ŽOC) presentato il quadro della situazione: registrate piccole perdite da 11 navi

0
Inquinamento dai relitti: non c’è ragione di temere
Un momento della seduta di ieri. Foto: ŽELJKO JERNEIĆ

Decima e ultima riunione dell’anno al Centro operativo regionale per l’attuazione del piano di intervento in caso di inquinamento improvviso del mare. Quest’anno il Centro ŽOC ha festeggiato il 25º della sua istituzione ed è tutt’ora quello che ha fatto più strada a livello organizzativo e operativo.

All’ordine del giorno della riunione di ieri c’era un punto particolarmente interessante che ha riguardato la valutazione del rischio di inquinamento prodotto dai relitti che si trovano sui fondali del Quarnero e nell’area dei Lussini.
Il capitano Darko Glažar è a capo del Centro: “Ci sono diverse cose di cui possiamo andare fieri, dal fondo di cui disponiamo alle unità navali, dalla ricognizione aerea a quella subacquea. Oggi ci soffermiamo su quest’ultimo segmento presentando una mappa in cui sono segnalate con il colore rosso le situazioni a forte rischio, in giallo quelle a rischio moderato e in verde quelle in cui non c’è alcun pericolo. Curiosamente, un relitto indicato come potenziale fonte di inquinamento è il mercantile Elhawi Star, che si trova in prossimità dell’imboccatura del bacino di Porto Baross, colato a picco nel 1982. Uno dei compiti che ci siamo posti è quello di seguire costantemente le condizioni dei relitti affidando le operazioni alla KPA Adria di Kraljevica assieme a Danijel Frka”. Il club per le attività subacquee di Kraljevica effettua, una volta all’anno, le ricognizioni sui relitti per accertarne la sicurezza e individuare eventuali perdite di carburanti o lubrificanti dai serbatoi corrosi dal mare e dagli anni trascorsi sul fondale. “Con il passare del tempo aumenta anche il rischio di incidenti ecologici per cui il monitoraggio avviene regolarmente. Uno dei compiti dello ŽOC è proprio questo. Il rischio c’è e ci sarà in futuro, anche se non prevediamo eventi catastrofici”, rassicura Glažar.

Danijel Frka.
Foto: ŽELJKO JERNEIĆ

La storia dell’Elhawi Star
La “Elhawi Star”, mercantile greco, all’uscita di Porto Baross si inclinò su un lato, presumibilmente a causa del posizionamento sbagliato del carico. Trasportava legname e piastrelle. I tavoloni vennero raccolti sulle spiagge di Pećine, mentre le piastrelle sono in fondo al mare. Il relitto si adagiò a 42 metri di profondità, mentre la sua parte più alta si trova a 28 metri sotto la superficie. Da allora ci sono state delle operazioni di conservazione, ma continuano a esserci delle piccole perdite che hanno come conseguenza l’apparizione di piccole chiazze oleose, visibili quando c’è bonaccia.
Frka ha presentato una relazione ai membri del team: “Attualmente ci sono undici relitti che rappresentano un potenziale pericolo in tema di inquinamento dl mare. Mi riferisco in particolare alle navi affondate durante la Seconda guerrra mondiale, ma ve ne sono anche altre finite in fondo al mare in tempi più recenti. Non ci sono criticità, anche se vengono rilevate in diversi punti fuoriuscite di idrocarburi dai serbatoi delle navi adagiate sui nostri fondali. In ogni caso, il nostro ŽOC è quello più preparato per affrontare situazioni di crisi”.
Sulla mappa ci sono quattro relitti nella zona gialla e otto che non rappresentano alcun pericolo. Quelli classificati come pericolosi hanno a bordo almeno una tonnellata di carburante. Le navi da guerra, inoltre, contengono anche ordigni esplosivi, un altro elemento di rischio non trascurabile.
Fino a 40 metri di profondità le ricognizioni le effettuano i sub, esplorando l’interno e l’esterno delle navi valutandone le condizioni e paragonandole a quelle della spedizione precedente. A profondità maggiori viene utilizzato un robot subacqueo, collegato con un cavo all’unità in superficie, in grado di insinuarsi all’interno dei relitti. Può farlo fino a 150 metri di profondità, riprendendo gli spazi interni anche per diverse ore, cioè per la durata della carica della batteria. Se dovessero farlo i sub, ci vorrebbero diverse ore di immersione per poter esplorare gli interni per un quarto d’ora. Il resto del tempo, come noto, è necessario per risalire gradualmente in superficie. Frka ha aggiunto che, ultimamente, si ricorre sempre più spesso al “Side-scan sonar”, un dispositivo a forma di siluro, trainato dall’imbarcazione, in grado di individuare nuovi relitti in fondo al mare. Come ha concluso Frka, se ne scoprono in continuazione.

Darko Glažar.
Foto: ŽELJKO JERNEIĆ

Tutti i diritti riservati. La riproduzione, anche parziale, è possibile soltanto dietro autorizzazione dell’editore.

L’utente, previa registrazione, avrà la possibilità di commentare i contenuti proposti sul sito dell’Editore, ma dovrà farlo usando un linguaggio rispettoso della persona e del diritto alla diversa opinione, evitando espressioni offensive e ingiuriose, affinché la comunicazione sia, in quanto a contenuto e forma, civile.

No posts to display