
Una fiumana che, come la maggior parte dei concittadini era una mescolanza di gente di varia provenienza. Si definiva spesso così Maria Schiavato, venuta a mancare qualche giorno fa a 92 anni d’età. Fiumano di origini lussignane era infatti il padre, capitano marittimo, veneziana la nonna materna Beatrice Gandini. Fiumana e intrinsecamente cantridana, precisava Maria, in quanto, ancora bambina, la famiglia si era qui trasferita dal momento che il nonno era capo elettricista al cantiere. Qui era andata a scuola, guidata da una maestra decisa ad inculcarle con molto ardore quello che allora era inteso l’amor di patria, peraltro bilanciato dal nonno socialista che fungeva anche da capofamiglia, in quanto il genero, capitano marittimo, l’aveva presto abbandonata.
A Cantrida si viveva in uno spirito di comunanza oggi impensabile: agli inizi degli Anni trenta, il cantiere chiuso per la crisi, la bottegaia fornì alla famiglia per un anno intero gli alimentari in cambio della sola promessa che, arrivati i soldi, sarebbe stata pagata.
La tranquillità degli anni successivi fu interrotta dapprima dall’entrata dell’Italia in guerra e dallo “storico” sfollamento del 1941 – e quindi dall’armistizio. L’8 settembre, mentre guardava un film al cinema al silurificio, irruppe un uomo urlando “La guera xe finida”, ma arrivata a casa, il nonno disse cupamente che invece stava appena per incominciare. Nei giorni successivi passò per Fiume una marea di soldati italiani, che chiedevano soprattutto acqua e quindi abiti borghesi. Un paio di giorni dopo arrivarono i tedeschi.
Nel susseguirsi dei bombardamenti che rasero al suolo la parte bassa di Cantrida, nel febbraio 1945 fu distrutta anche la loro casa sicché la famiglia fu trasferita nella palestra della scuola elementare, occupata dai tedeschi. Una delle ultime immagini che si impressero nella sua mente nella primavera di quell’anno, fu quella di uno sparuto gruppo di giovanissimi soldati terrorizzati che buttavano le armi e invocavano la madre gridando “Mutti, mutti!”.
La vista del miserando aspetto dei primi reparti jugoslavi suscitò parecchia sorpresa, che presto divenne sgomento quando i fiumani videro che in Piazza Dante si ballava il kolo. Presto furono sostituite le prime tabelle, requisiti i negozi, parecchia gente subì soprusi, iniziarono le prime partenze, sempre più massicce: quando nel 1946 iniziò il Liceo, gli iscritti erano 84, cinque anni dopo, alla maturità, si erano ridotti a 14. Poi vennero le opzioni, mentre il clima era sempre più difficile: venivano chiuse le scuole, specie periferiche e spesso si veniva redarguiti anche solo se in pubblico si parlava in italiano. Erano momenti atroci, ricordava, con i camion pieni di masserizie che passavano di continuo e le resse di partenti alla stazione.
Sposatasi con il dignanese Mario Schiavato, che allora compiva i primi passi nel campo della letteratura, nel 1952 cominciò ad insegnare l’italiano alla scuola Mario Gennari e, indotta e stimolata dal prof. Sergio Turconi, iniziò gli studi universitari alla Facoltà di lettere di Belgrado laureandosi con Eros Sequi. Nel suo lavoro ebbe un supporto molto stretto con la direttrice Zdenka Bureš Sušanj, ceca d’origine e italiana di cultura, che la indusse ad assumere la direzione dell’istituto.
Le cose seguirono l’andamento usuale fino a che, a cavallo degli anni Sessanta e Settanta, le iscrizioni si ridussero paurosamente fino a mancare del tutto per due anni di fila. Particolarmente penoso, ricordava per anni, fu l’incontro congiunto con i genitori dei bambini che si sarebbero iscritti alle due scuole croate di Torretta e alla Gennari. Parecchi, lo sapeva bene perché li conosceva, avevano radici fiumane, sicché si adoperò a essere molto persuasiva nell’indurli all’iscrizione. Concluso l’intervento, invitò gli interessati a venire al suo tavolo per il prosieguo dell’iter: dei circa 300 genitori presenti, si presentò per l’iscrizione uno solo, il baritono Marino Sfiligoi!
Dopo tre mandati da direttrice, per motivi di salute fu costretta a rinunciare al logorante incarico, passò a insegnare per dieci anni alla scuola Gelsi e da qui andò in pensione, continuando con l’impegno a favore della minoranza e della fiumanità fino a che ne ebbe le forze. Il figlio e la figlia nel frattempo si erano creati le loro famiglie tanto che oggi lascia tre nipoti e due pronipoti. Anche nell’ambito famigliare la vita non le ha risparmiato afflizioni e dispiaceri: nel settembre del 2020, è venuto a mancare il marito Mario e, a distanza di soli due mesi, la figlia Chiara.
Tutti i diritti riservati. La riproduzione, anche parziale, è possibile soltanto dietro autorizzazione dell’editore.
L’utente, previa registrazione, avrà la possibilità di commentare i contenuti proposti sul sito dell’Editore, ma dovrà farlo usando un linguaggio rispettoso della persona e del diritto alla diversa opinione, evitando espressioni offensive e ingiuriose, affinché la comunicazione sia, in quanto a contenuto e forma, civile.