Fiume. Se n’è andato in sordina il prof. Željko Maurović

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Fiume. Se n’è andato in sordina il prof. Željko Maurović

È venuto a mancare il professor Željko Maurović. Aveva varcato la soglia dell’allora Centro per l’istruzione indirizzata in lingua italiana di Fiume a metà anni Ottanta dedicandosi all’epoca alle materie rimaste formative negli ultimi anni dell’ex Jugoslavia, come “teoria e prassi del socialismo d’autogoverno” oppure “organizzazioni di base del lavoro associato” e via di seguito, conquistando successivamente la cattedra di quelle a lui più congeniali, dalla filosofia alla logica, agli elementi di economia politica, alla sociologia e infine anche all’etica. In quel periodo, quelle sue prime materie affrontate tra le mura dell’ex Liceo italiano, per noi studenti di una scuola di stampo socialista, ma con la testa e il cuore rivolti a Occidente (leggi Italia), con un’apertura (rara in quel contesto) che ci era ampiamente riconosciuta anche dalla maggioranza (non a caso molti figli dell’élite cittadina croata frequentavano le istituzioni della minoranza) – erano l’apoteosi della noiosità e come si rivelerà in seguito, anche dell’inutilità. Ma non le sue lezioni. Che intere generazioni non dimenticheranno mai. Come scordare, del resto, la sua pittoresca interpretazione della “mano invisibile”, per illustrare l’abc delle teorie di Adam Smith?
Željko l’ho conosciuto prima come allieva (forse una delle sue prime classi). L’ho ritrovato poi come collega in Sala insegnanti. Per un brevissimo tempo mi sono relazionata con lui in qualità di genitore, mentre da giornalista ho avuto modo di apprezzarlo anche come funzionario pubblico della Città di Fiume – da social-liberale, nel 1993 era entrato nella Giunta cittadina di Slavko Linić come vicepresidente e assessore all’Istruzione (ma non ci rimarrà fino alla fine del mandato) – e scrittore. L’ho stimato come intellettuale e pensatore dai molteplici interessi. Classe 1948, arrivava da Pisino. Si era laureato in Filosofia e Sociologia all’Università di Zagabria e, come molti croati dell’Istria, conosceva l’italiano, anche se era evidente che la padronanza linguistica non era ai massimi livelli. E noi, impietosi – ma sufficientemente preparati in lingua –, ai margini dei quaderni riportavamo gli strafalcioni del suo italiano un po’ maccheronico (che con il passar del tempo si sforzò di migliorare riuscendoci), per poi riproporli sul “Menabò”, il giornalino scolastico. Era spassoso, anche se poco didattico.
Ma era così. La scuola – rimaste scoperte molte discipline (soprattutto le più “ostiche”, come quelle elencate sopra), dopo innumerevoli tentativi di tappare i buchi (è più volte era accorso in aiuto anche il nostro giornale “La Voce del popolo”, ma erano palliativi, e non mi riferisco qui alle nozioni giornalistiche dell’omonimo corso, impartite giustamente dai professionisti del mestiere) – non aveva scelta se voleva mantenere in vita tutti gli indirizzi di studio, anche perché il sistema delle borse di studio per le Università italiane non stava ancora dando i suoi risultati. I soprannomi che noi ragazzi gli avevamo affibbiato erano diversi. Per la sua barba, la saggezza e la bonarietà del carattere, che nascondeva dietro a un fare da burbero, era il nostro “Grande Puffo”. Era alto, amava la pallacanestro, ed è capitato che si misurasse in campo pure con noi. Aveva un approccio molto schietto, sul filo dell’amichevole: non tollerava le bugie, i furbetti e la stupidità (in tutte le sue innumerevoli declinazioni); era un insegnante esigente e su certi aspetti inflessibile. Di errori e torti ne avrà certamente fatti, capita a tutti di commetterli, ma quel che gli mancava proprio era la cattiveria. Il suo senso dell’umorismo, la sottile ironia canzonatoria con la quale accompagnava certe sparate degli alunni – soprattutto quando avevano la pretesa di fargliele bere – spesso restavano incompresi in un mondo sempre più grossolano e fermo all’apparenza.
Oggi, se ci ripenso, con lui che in pratica era alle prime armi, in un contesto linguistico che non era il suo, in aula non eravamo molto clementi. Immagino che ogni generazione conservi degli aneddoti, delle piccole storie e situazioni che l’hanno accompagnata nella crescita. Ci rimangono i ricordi, le chiacchierate e le riflessioni sui temi più disparati, sui quali Željko Maurović era sempre ben documentato e aggiornato, e i libri. Aveva cominciato a scrivere ai tempi dell’Università, facendosi notare al concorso letterario del “Večernji list” con il racconto breve “Jedan dan u životu Ivana B.” (Una giornata nella vita di Ivan B.). Tra le sue opere pubblicate “Modeli mimikrije” (Modelli di mimetismo, ed. Adamić, Fiume 2000), che gli è valso una donazione della Zagrebačka banka, “Istočno od Sunca zapadno od Mjeseca” (A sud del Sole a occidente dalla Luna, ed. ICR, Fiume, 2004), “Mentalne mape” (Mappe mentali, ed. Zoro, Zagabria, 2008) e “Moebiusova vrpca” (Il Nastro di Möbius, ed. Studio Tim, Fiume, 2014). Ha pubblicato testi di prosa, saggi e traduzioni in diversi periodici, da “Novi Kamov” a “Socijalna ekologija” e a “Sušačka revija” (per conto della quale ha ricostruito la vicenda dell’Hotel degli Emigranti a Fiume). Studiò, per capire la metamorfosi del mondo moderno, i processi della globalizzazione attraverso il paradigma del sociologo tedesco Ulrich Beck, che presentò agli ascoltatori della terza rete della Radio croata e tradusse in croato. Željko è stato un educatore. Richiamare alla memoria la sua figura, ora che se n’è andato in sordina, come aveva fatto tutte le sue cose, è ricordare anche un pezzo di storia delle nostre scuole – sebbene si fosse inserito soltanto da esterno, ma con le idee ben chiare su quella che era la missione che andava ad affrontare – e della CNI. È diventato un modello della sua stessa inclusività. L’appartenenza dichiarata è fondamentale, ma è altrettanto importante, per il futuro, valorizzare, tra i croati e le altre nazionalità, i veri, autentici amici degli italiani. Ce ne sono parecchi. E anche Željko, per come l’ho percepito io, lo era.

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