«Fiume ha riunito la nostra famiglia»

Con Aurelia Elena Werndorfer, che ha dato vita all’iniziativa

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«Fiume ha riunito la nostra famiglia»
Aurelia Elena Werndorfer. Foto: RONI BRMALJ

La forza e il simbolismo delle pietre, a tutti i livelli, è nota. Con le stesse possiamo distruggere, rompere, uccidere, danneggiare, ma anche costruire case, fortezze, ponti atti ad accoglierci, proteggerci, unirci. Ne è ben consapevole ed è ciò che si auspica anche Aurelia Elena Werndorfer, la nostra interlocutrice, che abbiamo incontrato in occasione della posa delle pietre d’inciampo all’ingresso di quella che fu l’abitazione dei suoi nonni, Elena e Guglielmo, e di suo zio Eugenio. “L’idea del collocamento delle Pietre è scattata tre anni fa, dopo aver letto un articolo relativo alle sorelle Andra e Tatiana Bucci. Avendo sempre in mente la sorte subita dai miei parenti, nel tempo mi è sorto il forte desiderio di farle collocare anche davanti alla loro casa. Successivamente mi sono consultata con i miei familiari, i quali hanno sostenuto l’idea, ed eccoci qui”, ha esordito. Da lì, con l’aiuto della prof.ssa Rina Brumini, è partito tutto, contatti, mail, telefonate, ricerca di documenti, incontri. “La consapevolezza di poter lasciare una traccia tangibile a memoria di quanto vissuto dalla mia e da tante altre famiglie, di far riflettere e creare un dialogo attivo, lanciando nel contempo un messaggio importante alle nuove generazioni e, nel nostro piccolo, aver modo di ripristinare la dignità delle vittime della Shoah, ha mosso qualcosa dentro di me”, ci ha spiegato.

«Quel qualcosa che scorre nelle vene»
Aurelia è nata a Genova e in famiglia, quand’era piccola, di Fiume, dell’ebraismo e della storia familiare, non si parlava molto. La sua curiosità e, a sua detta, “quel qualcosa di ancestrale che scorre nelle vene, nel codice genetico”, l’ha portata solo più tardi, da adulta, a scoprirla e ad approfondirla. “I miei nonni, che nessuno di noi nipoti abbiamo conosciuto, insieme a Eugenio, il loro figlio maggiore, furono portati via, nel febbraio del 1944, dalla loro casa, ubicata in quella che, all’epoca, era via Mario Angheben, oggi Zagrebačka 19. Da lì sono stati deportati nel campo di sterminio di Auschwitz, dal quale non hanno più fatto ritorno. Destino ha voluto che Nicolò, il figlio più piccolo, grazie a un serie di circostanze fortuite, sia riuscito a fuggire e a mettersi in salvo raggiungendo, in seguito, la città di Genova, dove ha conosciuto mia madre. Dalla loro unione siamo nati mia sorella Claudia, mio fratello Guglielmo e io, tutti oggi presenti a Fiume per la cerimonia di posa. I nonni, però, avevano anche altri figli, tra i quali Ella, Amalia, Carmen ed Ernesto, i cui nipoti ci hanno raggiunti per condividere insieme questo toccante momento. Sono arrivati da Torino, Palermo e Ancona. Purtroppo, per ragioni logistiche, i nostri cugini che si trovano in Israele e in Francia, figli di zio Ernesto, non sono potuti essere presenti, ma sono qui con il cuore e il pensiero”, ci ha raccontato Aurelia, con la voce e gli occhi carichi di vissuto, specificando, con una nota di gratitudine e stupore che “per l’occasione, con alcuni di loro, mi sono incontrata per la prima volta. Posso dire che Fiume ha riunito la nostra famiglia, per cui siamo molto felici”.
Alla domanda sull’origine della famiglia Werndorfer, Aurelia, laureata in lettere, ex direttrice di banca, ci ha rivelato che “erano ebrei ashkenaziti di origine austro-ungarica, giunti nel capoluogo quarnerino alla fine del XIX secolo. Qui avevano formato una famiglia molto numerosa, costituita da 12 figli, tra i quali coloro già nominati in precedenza. Purtroppo, le memorie inerenti alla loro vita a Fiume non sono tante, ma so per certo che il nonno fu titolare di un’impresa di trasporto merci e che possedeva 24 cavalli da tiro, massicci e forti, di razza belga, adatti al traino dei pesanti carri per le merci, le quali venivano sbarcate o imbarcate nel porto di Fiume. Nel Cimitero di Cosala, tra l’altro, si trova la tomba (ora monumento storico) di Ignazio, uno dei figli, venuto a mancare nel 1905, da piccolissimo”. Il racconto di Aurelia Elena Werndorfer è stato ricco di sfumature, troppe per poterle riportare tutte. Ci siamo salutate con la ripromessa, un giorno, di farlo. Per pacificare, unire e parlare. E mai dimenticare.

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