Verso la fine di settembre, la Regione litoraneo-montana è stata segnata da un tragico evento: un giovane utente del Centro di riabilitazione di Fiume, filiale di Oštro a Kraljevica, ha perso la vita soffocandosi con un boccone di pizza. Ciò che avrebbe potuto essere un caso isolato, ha invece sollevato tutta una serie di dubbi che riguardano un intero sistema.
In un Paese diverso, una tragedia simile avrebbe portato alle dimissioni dei vertici, a pubbliche assunzioni di responsabilità e a un’azione risolutiva per evitare il ripetersi di simili episodi. In Croazia, invece, e precisamente il Ministero del Lavoro, del Sistema pensionistico, della Famiglia e delle Politiche sociali sembra limitarsi a scaricare le colpe sui dipendenti della struttura, senza che la Procura di Stato (DORH) si faccia avanti per chiarire chi sia davvero il responsabile del gravissimo caso. Così, mentre la vicenda rischia di cadere nell’oblio, l’opinione pubblica si pone delle domande che meriterebbero delle risposte.
Una di queste è relativa al fatto del perché si eviti di approfondire l’accaduto? Dietro questa morte potrebbe nascondersi più di quanto non emerga a prima vista. Si potrebbe sospettare che l’attenzione pubblica venga distolta volutamente per lasciare spazio a manovre poco trasparenti. L’edificio in cui è avvenuta la tragedia è situato in una posizione di prestigio con vista mare e come tale potrebbe diventare oggetto di interesse progetti privati mascherati da “servizi extra-istituzionali,” dei quali però non si conoscono né natura né tantomeno lo scopo. È un’esagerazione pensare questo? Forse. Sarà il tempo a mostrarlo. Un’altra domanda che giunge lecita è: come può il Ministero fondatore definire “inadeguata” una struttura che esso stesso ha fondato e supervisionato? La contraddizione è evidente. Lo stesso dicastero che ha autorizzato e finanziato la struttura, ora decreta la sua inadeguatezza. Si parla di circa 280.000 euro investiti dal 2016, ma nonostante ciò, gli spazi e l’organizzazione non risultano all’altezza. Perché queste criticità non sono state rilevate prima?
È l’ormai ex direttrice, dimessasi in seguito al fatto, l’unico capro espiatorio? L’accusa alla precedente gestione sembra una soluzione troppo semplice (e facile) per un problema così complesso. La vittima necessitava di cure mediche continuative, un servizio che un centro di assistenza sociale non è attrezzato a fornire. Questo solleva un ulteriore interrogativo: quante altre strutture simili potrebbero trovarsi nella stessa condizione di inadeguatezza?
Dove sono finiti i soldi investiti nella struttura? La questione dei fondi è inevitabile. Se la struttura non è funzionale, come sono stati impiegati i soldi spesi? E, infine, quanto possiamo realmente fidarci di chi gestisce il nostro sistema sanitario e sociale, considerando che recenti scandali hanno dimostrato come gli interessi privati possano avere la precedenza sul bene collettivo?
Servono trasparenza e un’indagine pubblica che impedisca il ripetersi di simili tragedie. Perché questa manciata di domande, per quanto cruciali, ne generano molte altre. E le risposte non possono più attendere. Il tutto, mentre tace chi dovrebbe invece parlare.
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