Emigranti, l’albergo nell’infinito

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Emigranti, l’albergo nell’infinito

Vi era un albergo, nella Fiume di inizio ‘900, completamente diverso da tutti gli altri, sia per posizione e dimensioni, che per funzione e capacità. Per raccontare la sua storia, però, è necessario spiegare la ragione della sua edificazione.

Il sogno americano
All’inizio del XX secolo, il capoluogo quarnerino era un porto dove attraccavano le navi che andavano in America e, nello specifico, a New York, la chimera della vita migliore e, lo speravano in molti, della felicità. Infatti, nel 1903, la compagnia di navigazione Cunard Line di Liverpool aprì una linea regolare Fiume-New York e, fino al 1914, più di 330.000 emigranti partirono da Fiume (circa 50.000 all’anno).Tutti loro dovevano soggiornare da qualche parte così, nel 1904, il Ministero degli Affari Esteri ungherese bandì un bando per la progettazione di un edificio in cui sarebbero stati alloggiati gli emigranti nell’attesa di salpare. La costruzione dell’albergo Emigranti, in stile secessionistico (come il Royal e il Bristol), sito all’inizio dell’allora Via Volosca, oggi Milutin Barač, fu completata quattro anni dopo su progetto dell’ingegnere Konstantin Zielinski, all’epoca professore al Politecnico di Budapest, molto propenso all’introduzione di nuovi metodi di edificazione. La sua posizione fu scelta per due motivi molto pratici, ovvero l’allontanamento degli emigranti dal centro città e la vicinanza, dalla parte del mare, della riva, per l’ormeggio dei transatlantici. In quel periodo, con i suoi 160 metri di lunghezza e la capacità di 1.500 posti letto fu senza dubbio la struttura ricettiva più grande di Fiume.

Una struttura imponente…
Considerate le necessità, l’albergo Emigranti fu edificato in tre piani e, per quei tempi, era ritenuto uno stabile di lusso. Konstantin Zielinski lo pensò secondo una concezione nuova, in severo cemento armato, molto moderna e affine allo stile europeo, dall’importante valore architettonico, realizzato nel 1905 dall’azienda ungherese Henrik Freud es Fiai. Nel seminterrato erano sistemate le sale d’attesa e quelle in cui veniva effettuata la disinfezione, un’infermeria, i bagni e gli uffici per la vendita dei biglietti da viaggio. Al primo e al secondo piano si trovavano i dormitori e un luogo di ritrovo per gli emigranti che avevano superato i controlli sanitari e medici.
L’edificio si trovava di fronte alla Fabbrica per la lavorazione del riso, che si rivelò importante per la creazione del menù per gli esuli che, quotidianamente, veniva realizzato dalla gentilissima “siorra Maria Grassa”, la cuoca, la quale indossava con grande orgoglio il soprannome di “cicciona”, a mo’ di simbolo della sua professione.

…e polifunzionale
Dal 1908 al 1914 oltre 100.000 emigranti furono ospiti dell’albergo. Durante la Prima guerra mondiale, in concomitanza con le necessità del momento, venne adibito a ospedale militare dell’esercito austro-ungarico e nel dopoguerra divenne caserma di quello italiano – Caserma Savoia. Silvino Gigante in “La Perla del Carnaro: guida di Fiume e Provincia” (1924) descrive il palazzo in toni assai negativi: “Mole colossale di cemento armato che ha il vanto, insieme al Teatro Fenice, di essere il più brutto edificio di Fiume” (fonte: “Lo stradario di Fiume” di Massimo Superina). Alla fine del secondo conflitto mondiale, per un breve periodo, fu sede della Casa dei lavoratori portuali e, a partire dal 1953, della Fabbrica di imballaggi, cambiando successivamente denominazione in base ai cambiamenti nei programmi di produzione, quali Metalografički kombinat (1966), MG-pack (1993) e, dal 2000 in poi, affittando i suoi spazi a svariate altre attività (fitness, produzione di mobili, uffici).

Curiosità
Visitando il Castello di Tersatto e, dalle sue mura, guardando verso l’ex Hotel Emigranti, l’occhio dell’osservatore più attento potrà notare che dalla struttura, lungo due percorsi ramificati, ad arco regolare, dapprima si ramificano e, successivamente, s’intrecciano blocchi di palazzine le quali, se si attraversano tutti i quartieri della nostra bella città, vanno a formare un unico enorme nastro a forma di ottagono. I matematici, o meglio i topologi, le definiscono quali “nastri di Möbius”, ovvero i nastri dell’infinito. Che dire? Viviamo in un posto così.

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