«Donne pompiere? Via gli stereotipi»

Con Lana Tadejević, Vigile del fuoco professionista di Fiume

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«Donne pompiere?  Via gli stereotipi»

Sul territorio dell’odierna Croazia, quella fondata a Fiume nel 1863 fu la prima Unità professionista dei Vigili del fuoco. Nelle ultime settimane, quest’ultima sta risolvendo con la Città, suo datore di lavoro, delle questioni legate alle retribuzioni. Gli stipendi dei pompieri fiumani sono tra i più bassi nel Paese. Dall’incontro di domani 9 marzo, in programma dopo quelli avvenuti nei giorni scorsi, ci si aspettano, comunque, buone notizie. Stavolta, però, non parliamo di vertenze sindacali. L’occasione è leggermente diversa e coincide perfettamente con quella che è la ricorrenza odierna: la Giornata internazionale della donna.
In questo contesto anche Fiume, dall’anno scorso, figura finalmente tra le città croate nelle cui squadre professioniste dei Vigili del fuoco c’è anche una rappresentante del gentil sesso. L’ingresso nel Comando fiumano dell’unico (per il momento) pompiere donna, è avvenuto nel luglio del 2021, ben 158 anni dopo la nascita dell’Unità. Proviamo quasi imbarazzo a considerarla una curiosità, ma in un mondo in cui a certe professioni sono legati degli stereotipi e luoghi comuni, ci sorprendiamo di quella che è la normalità. Lo potrebbe diventare anche dalle nostre parti grazie a Lana Tadejević, 27 anni, che dopo due anni nell’Unità dei pompieri volontari operante in seno alla Raffineria INA di Urinj, è approdata a quella professonista di Fiume. Quale appellativo usare per definire, volendo sostenere e valorizzare l’uguaglianza di genere, un pompiere donna? Il sorriso disarmante che ci ha accolti all’ingresso della caserma di via Krešimir, è bastato per non pensare più ai dubbi etici o filosofici e alle ipotetiche storpiature della definizione di un mestiere. L’incontro è stato “premeditato”, programmato appunto in occasione dell’8 marzo, che abbiamo sfruttato per farle gli auguri per la Festa della donna e per scoprire se e quanto sia complicato entrare a far parte di un mondo che tendiamo a riservare agli uomini.

Fare il pompiere è nell’immaginario di un bambino, uno dei sogni più gettonati. Che cosa voleva fare da grande Lana Tadejević? “Sognavo di fare tante cose, tra cui la veterinaria – ha esordito –. Il mio percorso fu un altro e nel corso della scuola media superiore ho terminato un corso di pompiere nell’ambito dei Vigili del fuoco volontari. Era la cosa che mi attirava di più, ma poi intrapresi una strada completamente diversa laureandomi a Zagabria in Terapia occupazionale, indirizzata dai genitori. Per un po’ di tempo fui io a non riuscire a trovare un’occupazione e così mi misi ad addestrare il mio cane, ritrovando in seguito la mia passione per il mestiere di pompiere, che mi spinse alla riqualificazione professionale e quindi al posto dove mi trovo ora. Lavorai per circa due anni all’INA, dove c’erano altre due ragazze a fare il mio stesso lavoro. Quando venne pubblicato il concorso per un posto per l’Unità professionista di Fiume decisi di provarci e, come vedete, ci riuscii”, ha raccontato Lana, seduta tra i banchi dell’aula della Caserma in cui si svolgono le lezioni teoriche.

Che sia un mestiere che richiede delle caratteristiche specifiche, è abbastanza chiaro. I colleghi di Lana che abbiamo avuto modo d’incontrare ne hanno sottolineato la serietà, l’efficienza e l’affidabilità. È tutto vero ciò che ci hanno detto? C’è bisogno di una certa preparazione fisica per giocarsela alla pari? Ha praticato qualche sport? “Se lo dicono loro – ha risposto sorridendo Lana –, forse è vero. La domanda sullo sport me l’hanno fatta di recente nell’ambito di un sondaggio. Comunque, è vero che occorre avere una buona preparazione fisica, ma prima ancora, è indispensabile essere pronti a livello mentale. È un lavoro di squadra e io che ne faccio parte non vengo sicuramente risparmiata in quanto donna”.

Per i colleghi maschi, che lo si voglia ammettere o no, ritrovarsi una donna nel team, mette un po’ tutti alla prova. Com’è stata accolta Lana?

«C’è qualcosa che unisce noi pompieri»

“Prima di quest’intervista, la prima della mia vita, ho cercato di ricostruire i miei primi giorni nell’Unità professionista. In Raffineria ero giunta quando c’erano già delle donne e in questo senso la questione non si poneva. Qui, appena arrivata, ho avuto un colloquio con uno dei comandanti e, devo ammettere, mi ha messo un po’ di pressione. Mi ha chieso di concedere loro un po’ di tempo per adattarsi a me, concedendo lo stesso tempo a me che ero l’ultima arrivata. Credo che ci siano sempre delle riserve quando ci si confronta con dei nuovi colleghi. Nel mio caso, in quanto prima donna a essere stata assunta in quest’Unità, c’era forse qualche riserva in più. Dopo poco tempo, i colleghi mi hanno rassicurata dicendomi che avrei giustificato le aspettative”.

Gli stessi colleghi hanno compreso in tempi brevi che non si sarebbe trattato di una mascotte. “Non ricevo questo tipo di informazioni – ha affermato la nostra interlocutrice –, però percepisco, attraverso la comunicazione con i colleghi del mio team e con i superiori, che vengo presa sul serio. Ci sono le lodi quando le cose vengono fatte bene e le critiche quando vanno diversamente. È fondamentale il lavoro di squadra, i cui ognuno ha un proprio ruolo preciso. L’affiatamento è un fattore imprescindibile. Nel complesso, fin dall’inizio i colleghi hanno dimostrato la volontà di aiutarmi. C’è sempre un sano rapporto di concorrenza, utile per migliorare. Nel mio caso un po’ di scetticismo all’inizio l’ho avvertito. Ciò che avverto ora, invece, è la consapevolezza di non sentirmi mai sola. C’è qualcosa che unisce noi pompieri. Per arrivarci è stato necessario un periodo di adattamento, circa sei mesi, per comprendere se le cose potessero funzionare. Oggi che ci conosciamo un po’ meglio, credo che certi stereotipi siano stati accantonati. Anzi, più che di stereotipi, parlerei di una sorta di diffidenza in quanto qui non vi è mai stata una donna. Penso che sia naturale che in determinate situazioni possano esistere degli stereotipi, anche se nelle società moderni ve ne sono sempre meno. Io ero pronta al fatto che ne avrei incontrati”, ha aggiunto la nostra interlocutrice.
Mentre noi umani cerchiamo di scrollarci di dosso certe forme di diffidenza nei confronti degli altri, quelli diversi da noi, senza sapere celare, anche se siamo in buona fede, il nostro scetticismo, ci sono creature decisamente meno sospettose. Lana Tadejević, tra le altre cose, si occupa di addestramento di cani, quelli che vediamo in azione quando avvengono le disgrazie: “Prima che io arrivassi, i nostri cani si sono rivelati preziosi nelle aree terremotate. Se ne occupava anche il mio ragazzo, pure lui pompiere nella nostra Unità. Oggi ci occupiamo in modo serio e sistematico di addestramento di cani da ricerca”.

È specializzata anche in addestramento di cani da ricerca

Non chiamateci «pompieresse»

Oltre alla fiducia incondizionata dei cani, quella acquisita da parte dei colleghi maschi, qual è stata la reazione della famiglia, degli amici? “C’è stato stupore. Nessuno sembrava pronto ad accettare le mie scelte. Adesso – ha precisato Lana –, ho il sostegno di tutti. Se ne sono fatti una ragione”.

Il compito di un pompiere è farsi trovare pronto nel momento in cui è necessario intervenire. Finora Lana non ha mai dovuto salvare un gatto salito sul tetto, ma di interventi ce ne sono stati. Il primo intervento non è stato di quelli su cui poter scherzare. “È vero. Da quando sono qui, il team del mio turno non ha dovuto affrontare situazioni troppo impegnative, ma la mia prima esperienza è stata tutt’altro che piacevole. Nel corso della formazione ci insegnano a confrontarci con molte situazioni”. Non è stato il classico “battesimo del fuoco”, in quanto il fuoco non c’era e tantomeno una condizione di pericolo, quella che ci ha raccontato Lana: “Siamo stati chiamati per sfondare la porta di un’abitazione. All’interno c’era una persona deceduta una decina di giorni prima. Non sono particolarmente sensibile, ma quella non è stata, come potete immaginare, una situazione piacevole. C’era con me un poliziotto a incoraggiarmi a entrare, dicendomi che sono situazioni a cui dovrò sapermi abituare. Sono casi stressanti e occorre saperli gestire”.

In quanto al futuro? “Conto di continuare a svolgere questo mestiere e avanzare quanto è possibile. Tra di noi s’immagina come, a 45-50 anni, sarò io a gridare gli ordini, come fanno oggi i superiori. Scherzi a parte, intendo proseguire con la mia formazione, aggiornarmi e perfezionarmi”. Come le è parsa questa sua prima intervista? “Devo ammettere che finora mi sono goduta l’anonimato, ma non è stato un problema uscire allo scoperto. Credo sia utile rendere noto che anche Fiume abbia fatto questo passo, dopo le altre città che l’hanno già fatto”.

Ci siamo congedati da Lana facendo qualche riflessione linguistica nell’era in cui le associazioni per l’uguaglianza di genere insistono sulla necessità di declinare al femminile professioni, funzioni, cariche e via dicendo. In Francia vi è stato un tentativo che le interessate del corpo dei Vigili del fuoco hanno bocciato all’unanimità. Il dibattito sui forum e sui social in Italia va nella stessa direzione e, nonostante il riconoscimento della legittimità per l’uguaglianza, nessuna vorrebbe venire chiamata “Vigilessa del fuoco”, “pompiera” o, peggio ancora, “pompieressa”.

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