Cold case a Fiume. Mario Pečaver condannato a 15 anni per l’omicidio di Ljubomir Novak

La giustizia croata chiude uno dei casi più complessi degli anni '90

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Cold case a Fiume. Mario Pečaver condannato a 15 anni per l’omicidio di Ljubomir Novak
Mario Pečaver arriva in Tribunale scortato dagli agenti della polizia penitenziaria. Foto: Goran Kovacic/PIXSELL

Il Tribunale di Fiume ha confermato oggi, martedì 3 giugno, la condanna a 15 anni di carcere per Mario Pečaver (75 anni), ritenuto il mandante dell’omicidio su commissione di Ljubomir Novak, un facoltoso imprenditore di Crikvenica rientrato dalla Svezia. L’omicidio risale al 27 dicembre 1995, quando Novak venne freddato con un colpo di fucile a pallettoni durante una corsa serale.

Quella emessa oggi è la seconda condanna per Pečaver: la prima, identica, era stata pronunciata nel 2013, ma in contumacia. “Poiché i fatti sono rimasti invariati, il Tribunale conferma integralmente la sentenza precedente per istigazione all’omicidio”, ha dichiarato la giudice durante l’udienza.

Una fuga lunga oltre vent’anni

Pečaver è stato arrestato solo il 7 giugno 2023 all’aeroporto di Panama City, dove viveva sotto falsa identità con il nome Slavijo Skočić. Era latitante da oltre vent’anni. Dopo l’estradizione in Croazia, ha chiesto la riapertura del processo.

Nel frattempo, i suoi complici – la moglie della vittima, Snježana Novak (15 anni di carcere), il killer Damir Perasz (20 anni) e il complice Krešimir Luketić (15 anni) – hanno già scontato le loro pene.

L’assassinio avvenne sulla Litoranea adriatica tra Crikvenica e Selce. Ljubomir Novak stava correndo con la moglie, ignaro che proprio lei, insieme all’amante Pečaver, aveva orchestrato la sua morte. Come riportato dal sito Burin.hr, Snježana lo attirò in un’imboscata e si fece avanti per “spianare” la visuale, lasciando il marito esposto al killer che lo colpì alle spalle con un fucile a canne mozze. Il corpo fu poi gettato giù da una scarpata, mentre la moglie inscenava una richiesta d’aiuto.

Il depistaggio e la svolta investigativa

All’arrivo della polizia, Snježana parlò di un infarto. Solo il giorno dopo, con l’autopsia, emerse l’evidente ferita da arma da fuoco. Seguì una lunga e infruttuosa indagine, finché sette anni dopo un infiltrato registrò la confessione dell’assassino, permettendo gli arresti.

Pečaver nel frattempo aveva lasciato il Paese nel giugno del ’96 a bordo della sua barca a vela, fingendo una traversata documentaristica per la tva nazionale Hrt, “Marijeva putovanja” (I viaggi di Mario). Sua figlia Ana, anch’essa coinvolta, si occupò della logistica dell’omicidio: fu lei, secondo Luketić, a consegnare al killer 1.500 marchi tedeschi per acquistare l’arma e, successivamente, il resto del compenso.

Pečaver visse sotto falsa identità come Slavijo Skočić fino al suo arresto a Panama nel 2023. La sua estradizione fu resa possibile da un mandato d’arresto europeo e da una cooperazione internazionale tra i ministeri della Giustizia croato e panamense.

Figlia latitante, memoria sbiadita

Durante il nuovo processo, i principali testimoni – già condannati e liberi – hanno dichiarato di non ricordare quasi nulla, ma hanno confermato le testimonianze precedenti. La figlia di Pečaver, Ana, condannata anch’essa in contumacia a 15 anni, è tuttora latitante. Secondo le dichiarazioni del padre, l’ultima volta che si sono sentiti è stato poco prima del suo arresto. Si sospetta che Ana viva attualmente negli Stati Uniti.

La difesa ha già annunciato ricorso. Fino alla conferma definitiva della sentenza, il caso resta tecnicamente aperto.

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