Cittavecchia di Fiume. Imparare passeggiando

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Cittavecchia di Fiume. Imparare passeggiando
La prima iscrizione latina di cui scriviamo nel testo sotto... Foto: IVOR HRELJANOVIĆ

Passeggiare per la Cittavecchia di Fiume, soprattutto se a farlo sono gli abitanti locali, scompiglia sempre. Nell’appurare, da un lato, il suo incredibile vissuto (storico, politico, culturale) e, dall’altro, la poca considerazione dello stesso tradotta in una miriade di palazzi impudentemente (o incompetentemente?) abbattuti, le emozioni si accavallano spaziando tra un forte senso d’orgoglio e un pungente e triste tuffo al cuore. Del vitale ex centro storico fiumano, infatti, ferito e abbandonato, è rimasto ben poco, appena una manciata di edifici e rari frammenti. Il resto, purtroppo, è stato sistematicamente demolito. In tale contesto, nel manuale “Vagando per le strade fiumane” (“Ulicama Riječkim lutam”), Zlatko Moranjak e Ferruccio Burburan riportano uno scritto a riguardo in uno dei quotidiani dell’epoca (1955): “Si sta abbattendo il centro storico. È giunto il suo momento. Ormai è logorato. Non solo decenni, ma secoli ridotti in polvere di antichi intonaci e mattoni frantumati vengono portati via sui carri di vimini (…), e gli abitanti dello stesso – volente o nolente – se ne vanno”.

“Se solo ci fosse stata, ieri come oggi, maggior saggezza, Fiume avrebbe potuto capitalizzare le sue antichità”, scrive Željko Bistrović nel suo articolo “Frutti fiumani IV: A lingua dolosa” (“Riječki pabirci IV: A lingua dolosa”), pubblicato sul portale Primorski Hrvat, aggiungendo che “il quartier generale militare romano (Principia), le terme d’epoca romana, la basilica paleocristiana con gli splendidi mosaici pavimentali, potrebbero testimoniare l’eccezionale patrimonio culturale e storico cittadino. Potrebbero, ma non lo fanno. Però, i suoi resti urbani, nonostante la loro natura frammentaria, possono ancora offrirci materiali interessanti per la ricerca”.

Scritte morali a cielo aperto
Sulla scia delle riflessioni di Bistrović, abbiamo tratto uno spunto interessante da uno degli edifici apparentemente poco appariscente in Corso, meglio conosciuto come farmacia, il quale, a detta dell’autore, nella sua struttura ne conserva un altro più antico. Il segmento più recente venne costruito in seguito alla copertura dei barbacani e alla demolizione delle mura cittadine.
In passato, la sua facciata principale era rivolta all’estremità opposta dell’odierna posizione, ovvero verso piazza della Risoluzione fiumana, di fronte all’ex monastero agostiniano.
Nella sua “Storia di Fiume”, Giovanni Kobler c’informa che sul frontespizio del succitato palazzo vi era uno stemma risalente al XV secolo. Oggi non c’è più, ma questa rilevante informazione ci aiuta a riconoscere le peculiarità delle lavorazioni in stile rinascimentale presenti sul ben conservato portale in pietra massiccia. Gli infissi in pietra del primo piano, pur rimaneggiati in epoche successive, si ritrovano nella loro collocazione originaria e documentano le precedenti dimensioni dell’edificio a due piani. Inoltre, sopra una delle fnestre, è chiaramente leggibile un reperto epigrafico di contenuto interessante, soprattutto in quanto, a differenza degli altri ritrovamenti, s’avvale di una fonte letteraria (e non religiosa) la quale recita: “Nemo sine crimine vivit” (“Nessuno vive senza commettere colpe”). La sua fonte è il Distice di Catone, un’opera antica che, per il suo contenuto morale, era inclusa nel corpus dei testi latini utilizzati per l’apprendimento della lingua latina nel Medioevo. Questa riflessione va a braccetto con il messaggio di un’altra iscrizione latina in pietra, ispirata al Salmo biblico 119 ed emersa da sotto la polvere e l’intonaco durante la demolizione di gran parte del nucleo storico a metà degli anni Cinquanta del secolo scorso, incastonata sulla parete dell’Istituto d’Ingegneria Civile (Građevno projektni zavod – GPZ), in via Šporer.
Sulla stessa la quale, a detta di Bistrović, in origine si trovava sulla casa, successivamente abbattuta, che sorgeva dall’altra parte della strada, si legge: “A lingua dolosa libera me domine” (“Dio salva la mia anima da lingue bugiarde”).
Il salmo insegna a chiedere a Dio di non ferire i nostri e gli animi altrui con parole malvage, ma chissà se anche l’architetto Igor Emili, che ha installato l’insegna sul palazzo, l’abbia intesa così. Fatto sta che entrambi i detti sono tesi a trasmettere un messaggio di natura morale, atto a invitarci a non interferire, in un modo o nell’altro, nella vita degli altri e a non giudicare i loro peccati. Insegnamenti ancora oggi estremamente attuali.

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