«Caldo, freddo, insulti e offese… Però non ci arrendiamo»

Chiacchierata con gli addetti al prelevamento dei tamponi del reparto di microbiologia dell'Istituto regionale di salute pubblica

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«Caldo, freddo, insulti e offese… Però non ci arrendiamo»

Da quasi due anni, i dipendenti del reparto di microbiologia dell’Istituto regionale di salute pubblica sono a diretto contatto con tutte quelle persone che devono sottoporsi al tampone per scoprire se sono positive o meno al Covid-19. Un lavoro che richiede tanto impegno, anche se a prima vista non sembra, ma anche tanta pazienza. Con indosso le tute protettive che li coprono dalla testa ai piedi, per evitare ogni possibile contagio, gli addetti ai test devono lavorare anche in condizioni impensabili: dalle temperature che d’estate salgono alle stelle, al freddo accompagnato da forte vento di bora come in questi giorni. Per capire come si svolge una giornata tipo, abbiamo parlato con due giovani che si trovano per l’appunto in prima linea.

Marijan Knežević ha concluso il suo orario di lavoro da poco e lo incontriamo per una breve chiacchierata.

Marijan Knežević

Raccontaci come funziona la tua giornata dal momento dell’arrivo a lavoro

“Si inizia già alle 7 del mattino quando abbiamo il compito di preparare tutto ciò che ci servirà per potere prelevare i tamponi. Visto che in questi giorni c’è un notevole aumento di persone che vengono sottoposte al test, assicuriamo circa 400 dosi di soluzioni Hank’s nelle quali vengono poi messi i tamponi, un grande numero di bastoncini per il prelievo e tutto il materiale aggiuntivo senza il quale non possiamo procedere con il lavoro. Subito dopo indossiamo la tuta protettiva, per la quale ci vuole tutto un iter per essere sicuri di non venire contagiati. Si parte dai piedi, dove s’indossano le cosiddette ‘ciabatte’ sopra le calzature normali. Poi si infila la tuta, una cuffia in testa, sopra a questa il cappuccio della tuta. Quindi indossiamo i guanti che devono venire assicurati attorno ai polsi con un nastro, per evitare che la pelle venga a contatto con i contagiati, e infine indossiamo la mascherina e la visiera protettiva”.

Questi indumenti non vengono più tolti fino alla fine del turno immagino

”Infatti, motivo per il quale prima dobbiamo andare alla toilette, evitare di bere e sopportare eventuali morsi della fame fino alle 13 circa. Visto che l’orario è stato prolungato, in quanto prima lavoravamo fino alle 12, abbiamo diritto a mezz’ora di pausa, però dato il tempo perso per ‘vestirci’, quasi nessuno decide di spogliarsi e rivestirsi in questa mezz’ora, rinunciando così alla pausa”.

I prelievi vengono effettuati nell’Istituto regionale di salute pubblica

Un tour de force quindi senza possibilità di muoversi dal punto Covid

”Sinceramente questo è il problema minore. Quello che crea più disagi è il rapporto con le persone. Ce ne sono di tutti i tipi: da quelle che ci insultano a quelle che pretendono di ottenere i risultati in due minuti con la scusa che devono tornare al lavoro. Già il fatto che si arrivi per fare il tampone significa che la persona dovrebbe essere in autoisolamento fino a quando non ottiene i risultati, quindi spesso non riusciamo a capire tutta questa fretta. Un altro fatto che spesso provoca discussioni è che ogni tampone deve venire accompagnato dall’impegnativa che viene inviata dal medico di famiglia. Chi arriva senza averla non può accedere al test e spesso non riusciamo far capire alle persone che il sistema ha un protocollo che non può venire cambiato”.

Immagino non sia facile lavorare in queste condizioni, specialmente se poi fa troppo caldo o al contrario freddo

“Dopo quasi due anni mi sono ormai abituato. A volte inciampo se devo scendere dal gradino, quando ci sono bambini in questione, però in generale le tute sono relativamente confortevoli. Durante l’estate fa caldo però ci hanno permesso di usare i cosiddetti grembiuli per dare un po’ di respiro alla pelle, in quanto con la tuta siamo chiusi ermeticamente. Siamo in pochi, questo è il problema maggiore e quindi i turni sono a volte pesanti. Abbiamo però sempre una persona in stand by in caso d’emergenza”.

Gli addetti lavorano per cinque ore senza spostarsi

Avete visto e sentito di tutto in questi due anni. Ci sono stati dei momenti particolari?

“Ricordo un paziente che si era presentato dopo avere fatto uso di stupefacenti ed era difficile tenerlo sotto controllo. Poi abbiamo spesso a che fare con i genitori che accompagnano i propri bambini i quali non indossano mai la mascherina e quindi dobbiamo ricordare loro che mentre aspettano in coda sono a contatto con altri contagiati. Loro hanno la precedenza, però vista l’alta incidenza di positivi tra i più giovani, sarebbe il caso di indossare la mascherina. I momenti più difficili sono quelli quando arrivano i genitori in lacrime dopo avere lasciato i figli all’ospedale pediatrico di Costabella nei reparti Covid. A volte dobbiamo prolungare l’orario di lavoro per venire loro incontro e sottoporli al test”, conclude Marijan.

Assieme a lui c’è la collega Sara Jurman la quale è entrata da poco a far parte di questo team. “Non è facile lavorare per tante ore all’aperto. D’estate si soffoca dal caldo con la mascherina e la visiera. D’inverno, invece, combattiamo con il freddo. Il problema più grande è sicuramente l’impossibilità di usare la toilette. Questo in particolar modo per noi donne che abbiamo necessità particolari. Per fortuna riusciamo a organizzarci però non è sempre facile. Quando indossiamo la tuta dobbiamo togliere orecchini, anelli e altri eventuali gioielli. Anche il trucco non va messo, proprio perché con tutta l’attrezzatura sarebbe un bel guaio quando si inizia a sudare. Tutto questo però è il minimo se prendiamo in considerazione quanto possono essere scontrosi i pazienti”, conclude Sara Jurman sorridendo.

Sara Jurman

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