All’inizio degli anni Novanta del XIX secolo la baia di Slatina vantava lo stabilimento balneare “Paškval Jačić”, nonché, un po’ più a sud, un altro più piccolo di proprietà della Società Meridionale delle Ferrovie. All’epoca entrambi funzionavano bene e furono molto frequentati fino all’abbattimento di quest’ultimo, avvenuto per motivi non documentati. Alcuni anni più tardi, appurata la crescita turistica abbaziana, l’ente pensò di innalzarne uno nuovo, più ampio e rappresentativo. Dato che la Perla del Quarnero era considerata la località balneare per eccellenza della Monarchia austro-ungarica, l’idea venne subito approvata anche dall’Amministrazione del Circondario Marittimo di Trieste, atta a decidere su qualsiasi licenza e manovra edilizie. A detta di Mirjana Kos e Julija Lozzi Barković (da “Il patrimonio balneare quarnerino”), nonostante le lamentele e l’opposizione al progetto della signora Adolfina Hasslinger, proprietaria di una villa sita nelle adiacenze e preoccupata per l’oscuramento della vista sul mare, nella primavera del 1896 le autorità del Comune di Volosca rilasciarono i permessi di edificazione del Bagno.
Il disappunto dei possidenti
Nello scritto delle due autrici si legge che per una serie di motivi di carattere politico- amministrativo, malgrado l’ambizioso e valido progetto firmato dall’architetto Josef Mitterlech, all’inizio dell’estate fu completata solo una parte dell’ala orientale. Lo stesso prevedeva una voluminosa sovrastruttura in legno, installata sopra massicci pilastri in pietra e cemento a sezione quadrangolare, interrati nel fondale marino e sufficientemente alti da consentirle di levarsi fino al livello della strada costiera. Sulla scia delle lagnanze della signora Hasslinger, nell’aprile del 1897, un gruppo di possidenti delle abitazioni signorili locali e ospiti della località liburnica siglarono un ricorso teso a impedire l’ampliamento della spiaggia e lo inviarono alla Sovrintendenza Imperiale Reale di Trieste. Le motivazioni riportate, redatte in italiano, croato e tedesco, furono focalizzate su questioni di natura estetica (in primis l’ostruzione del panorama dovuto all’edificazione di un “obbrobio di legno”) e igienico-sanitaria. Così, nonostante gli interventi del dottor Julius Glax a nome della Commissione medica, mirati a dimostrare l’inesattezza e l’illogicità di alcune affermazioni contenute nella lettera di protesta, fu realizzato soltanto un quarto del progetto originario.
Tentativi e dissensi
La Società non desistette e nel 1909 commissionò un altro disegno ai rinomati architetti Sandor Neuhausler, Rudolf Pelda e Alois Breyer, il quale convinse il summenzionato comitato. Non fu lo stesso per ciò che concerne le autorità cittadine di Volosca, che nuovamente ebbero da ridire e non diedero il loro consenso all’ampliamento del complesso. L’iniziativa fu offuscata anche dall’innalzamento di un altro livello della struttura balneare Angiolina, atto ad accogliere il sempre più crescente numero di turisti, come pure dall’edificazione dei già nominati bagni “Tomaševac”, “Qiutta” e “Črnikovica”, affiancati da una miriade di piccole spiagge private.
Gli schizzi di Pichler e Thenius
Nel 1925, sulla falsariga del sunnominato consorzio, la Società Bagno Savoia, rappresentata da Alessandro Neuhausler, richiese nuovamente al Comune l’estensione della struttura balneare sulla Slatina, affidando stavolta il progetto all’ingegnere Pichler, dipendente dell’Amministrazione marittima triestina, specializzato nella costruzione di frangiflutti nelle zone turistiche della località di Grado. Sulla base dello stesso, scrivono Kos e Lozzi Barković, quello che sarebbe dovuto diventare il Bagno Savoia si sarebbe avvalso di una bellissima spiaggia sabbiosa, con svariati locali adibiti a caffetterie, negozi e altre infrastrutture balneari, il tutto rispettoso dei criteri estetici dei residenti. In tale contesto, due anni dopo Neuhausler chiese i permessi necessari per la risistemazione della facciata meridionale (rivolta verso Laurana) dell’esistente architettura lignea, firmata dall’architetto Alfredo Thenius e l’innalzamento di altri due piani, nonché, qualche mese più tardi, l’ampliamento del lido e l’edificazione di un padiglione con docce, buffet e un magazzino per le pompe.
Progetto respinto
Il rivestimento esterno fu pensato “in bello stile romano con colonne” e il tetto fungente da spaziosa terrazza e/o spazio pubblico accessibile a tutti, con una bellissima vista sul mare, su necessità al servizio delle autorità per l’organizzazione di vari tipi di incontri o palcoscenico all’aperto.
A differenza di prima, stavolta le autorità approvarono il tutto, a condizione che sullo spiazzo non si costruisca più nulla e una piccola osservazione inerente ai servizi igienici. Il progetto, però, venne bloccato dalla Regia Soprintendenza ai Valori artistici e storici con sede a Trieste e non fu più realizzato.
La nuova Slatina
La struttura odierna, quindi, è una delle tante versioni rimaneggiate della parte edificata dello stesso il cui aspetto, nel corso degli anni e con le svariate risistemazioni, cambiò non poco, soprattutto in seguito al suo collegamento con il lungomare e l’apertura di ristoranti ed esercizi commerciali, che lo rese molto simile al Bagno Angiolina.
Nel 1979, a causa di un fortissimo scirocco, un’imbarcazione dei subacquei del cantierere dell’albergo Admiral si slegò dalla cima d’ormeggio e andò a sbattere contro alcuni piloni dell’architettura in legno, provocando il crollo della stessa e la sua conseguente demolizione. Vi rimase la spiaggia artificiale e la costruzione postbellica meridionale, detta “nova Slatina”, costituita da un locale ristorativo, dai servizi igienici, da alcune cabine, nonché da svariati impianti ed elementi tesi allo sport e al divertimento. In seguito, nel corso dell’ultimo rinnovo degli anni Ottanta dello scorso secolo, venne rimosso il lido sabbioso e cementata una vasta superfice adibita ad area per prendere il sole, arricchita da due piscine ellittiche congiunte al mare da un flusso d’acqua naturale.
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