Andrea Marsanich. 43 anni di giornalismo vero. La videointervista

La storica voce della redazione italiana di Radio Fiume, nato e cresciuto giornalisticamente alla Voce, ha detto basta

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Andrea Marsanich. 43 anni di giornalismo vero. La videointervista
Intervista: Damir Cesarec
Video: Rafael Rameša

Quanto può essere lungo un minuto? Se lo domandava una nota azienda di orologi in una pubblicità di fine anni ‘90. Noi però vogliamo estendere la forbice a 43 anni. E quanto possono essere lunghi 43 anni? Proviamo un attimo a pensare a tutto ciò che è successo in quest’arco temporale: la caduta del Muro di Berlino, il dissolvimento della Jugoslavia, dell’Unione Sovietica e della Cecoslovacchia, la nascita del World Wide Web, la fondazione dell’Unione europea, negli Stati Uniti si sono succeduti otto presidenti, in Vaticano cinque pontefici…
È indubbio come in questi 43 anni il mondo sia cambiato come non mai. 43 come gli anni di carriera di un mostro sacro del giornalismo radiofonico, che ha deciso di appendere definitivamente le cuffie al chiodo. I più attenti avranno già intuito di chi stiamo parlando. Andrea Marsanich. Ebbene sì, proprio lui. La storica voce della redazione italiana di Radio Fiume, nato e cresciuto giornalisticamente alla Voce, ha detto basta. E visto che oggi è il suo “ultimo giorno di scuola”, potevamo noi non andare a scomodarlo? Certo che no! E così siamo andati a trovarlo negli studi della radio per tentare un’impresa impossibile: raccontare la carriera di un autentico highlander del giornalismo on air, ma anche della carta stampata.

Andrea, volente o nolente, alla fine la pensione è arrivata anche per te.

“Ti dirò la verità: è una cosa che stavo preparando da tempo. Avrei potuto lavorare ancora tre anni e mezzo fino al compimento dei 65 anni, ma lo scorso dicembre avevo maturato le condizioni per la piena pensione. È un momento importante della vita, in cui riaffiorano un’infinità di ricordi, ma è anche un momento in cui chiedersi se si sia lasciato qualcosa di concreto nella propria carriera professionale”.

Non tutti sanno che hai iniziato la tua carriera alla Voce del popolo.

“Io sono figlio della Voce. Ci ho lavorato per 14 anni, dal 1976 al 1990, e mi considero tutt’oggi, malgrado una carriera lunghissima a Radio Fiume, un giornalista più da carta stampata che radiofonico. La Voce è un po’ la mia mamma giornalistica, Radio Fiume più una moglie. Da quando ho imparato a leggere sono andato avanti a pane e Voce del popolo. E la leggevo tutta, partendo rigorosamente dall’ultima pagina. Avevo iniziato in cronaca fiumana e ci sono rimasto per quattro anni, incluso il servizio militare, poi nel 1981 sono passato al mio grande amore: la redazione sportiva. Qui ho vissuto i momenti migliori e le esperienze più interessanti. Ho avuto la fortuna di poter viaggiare molto seguendo in trasferta il Rijeka, grazie anche alla comprensione dell’allora direttore Ennio Machin e del caporedattore Mario Bonita. Una volta diventato papà, sono cambiate le priorità. Lavorare in sport significava fare tardi la sera, oltre che essere impegnato nel weekend. A quel punto, molto a malincuore, ho lasciato l’EDIT. Fu un addio traumatico, ma doveroso perché gli impegni familiari erano diventati inconciliabili con la professione di giornalista sportivo”.

E quindi sei passato alla radio.

“La prima cosa che avevo notato era stata la grande differenza tra il giornalismo di carta stampata e quello radiofonico. Nel giornale potevi sbizzarrirti e scrivere in lungo e in largo, qui invece dovevi essere sintetico e mi ci è voluto un po’ prima di prendere le misure. In più, qui ti basta dire ‘Buongiorno cari ascoltatori’ e sei subito popolare non solo tra i nostri connazionali, ma anche tra gli appartenenti alla maggioranza. Non è un merito personale, sia chiaro, semplicemente si tratta di media differenti. Radio Fiume potenzialmente arriva in tutte le case, copre tutto il Quarnero, l’Istria, buona parte della Dalmazia, la senti anche a Trieste e lungo il Litorale sloveno. Avevo iniziato come semplice giornalista e ho fatto di tutto perché qui non ti limiti a un unico settore, ma segui sport, cultura, economia, politica, cronaca nera… A un certo punto avevo iniziato anche a fare trasmissioni in lingua croata, in particolare quella riservata alla Serie A, alla luce anche della mia passione per il calcio, e poi vado a seguire anche la situazione in pescheria perché la pesca è un’altra mia passione”.

Ti sentiremo ancora in onda con gli appuntamenti sulla Serie A e la pescheria oppure no?

“Sì, quando gli impegni me lo consentiranno. Ma sarà una cosa saltuaria, non più un appuntamento fisso”.

Chi ti conosce sa che sei impegnato anche con altre testate.

“Praticamente ogni giorno scrivo per tre media: Radio Fiume, TV Capodistria e Il Piccolo di Trieste, di cui sono corrispondente da 27 anni. Ho sempre cercato di immedesimarmi nellettore, ascoltatore o telespettatore, per capire cosa interessa alla gente. Spesso ho scritto dettagli magari superflui, ma la completezza della notizia è per me sacra perché ho sempre rispettato le regole che mi sono state insegnate nel 1976”.

Qual è stato il momento che ricorderai con più affetto?

“Nel 1986 quando sono stato promosso a redattore alla Voce. Era stato un momento molto gratificante. Ricordo con piacere anche la festa d’addio perché erano venuti tanti colleghi a testimoniare il loro affetto nei miei confronti. Ricordo con piacere il titolo di Cavaliere della Repubblica italiana conferitomi nel 2009 per meriti verso il giornalismo e verso la Comunità nazionale italiana”.

 

E quello che invece vorresti dimenticare?

“Sempre l’addio alla Voce, che era stato molto doloroso. E poi la poca attenzione da parte della Radiotelevisione croata (HRT, nda) per la redazione italiana. In questo caso è purtroppo mancato anche il sostegno politico dell’Unione Italiana, che comunque ringrazio sentitamente per tutti gli aiuti materiali, a partire dall’attrezzatura donataci, che ci ha consentito di portare avanti la professione in maniera dignitosa. Pertanto auspico un maggiore impegno politico dell’UI affinché la redazione italiana, sia quella di Radio Fiume che di Radio Pola, restino nell’organigramma della HRT”.

Rimpianti?

“Dal punto di vista professionale no, ma mi dispiace molto che la redazione italiana non esista sulla carta. Mi auguro che chi di dovere si renda conto che questa dev’esserci e avere quindi una sua importanza e un ruolo ben preciso”.

In quanti lavorano nella redazione italiana?

“Virna Baraba, con cui ho lavorato la bellezza di 29 anni, dallo scorso autunno c’è anche Selina Sciucca, che si sta facendo valere, e da poco è arrivato Leo Nenadich, che ha stoffa. Una volta eravamo in quattro, ora invece in due più un giornalista onorario. Abbiamo mantenuto lo stesso minutaggio e lo stesso spazio, ma essendo di meno ci sono più impegni per cui ho preferito andarmene in pensione”.

A proposito di pensione, ma ora che cosa farai?

“Io sono una persona molto attiva: ho acquistato da poco una barca, mi piace pescare, sono nonno e adoro stare con i nipotini, ho riscoperto l’amore per il teatro, gioco ancora a calcio… Insomma, non credo proprio che m’annoierò”.

Un pensiero finale?

“Mi sono sempre battuto per la nostra italianità, un’italianità mai nazionalista. Io tengo alla mia cultura e se lavoriamo in lingua italiana un motivo ci sarà. Ho sempre cercato di tutelare e valorizzare quest’italianità che non è mai stata contraria al popolo di maggioranza ma, anzi, si è sempre integrata. Qua l’italiano non scomparirà mai. Il dialetto fiumano invece rischia di farlo ed è nostro compito batterci affinché ciò non accada”.

«Batuffolo di cloroformio a chi!?»

In 43 anni di carriera avrai certamente una caterva di aneddoti da raccontare: sparane uno.

“Ricordo che una volta durante un comizio di giornalisti a Radio Fiume, un mio collega un po’ più anziano, con il quale non ero esattamente in sintonia, e di cui non voglio fare il nome per non far arrabbiare parenti e amici (ride), era andato in bagno e io dissi ai miei colleghi che dovevamo ficcargli un batuffolo imbevuto di cloroformio nel naso per farlo svenire e quindi dargliene di santa ragione. Lui però mi aveva sentito e se ne uscì con ‘Batuffolo di cloroformio a chi!?’ Volevo sprofondare dalla vergogna, però avevamo riso tantissimo”.

Chi sono stati i tuoi maestri che ti hanno insegnato la professione di giornalista?

“Non posso non citare Paolo Lettis, che era stato il mio primo capo in cronaca fiumana, e poi Ettore Mazzieri, Renato Tich, Romano Farina, Orlando Rivetti, Bruno Bontempo, Nini Barbalich, Rosi Gasparini, Errol Superina, Claudio Moscarda, Rudi Segnan, Vito Gilić, Flavio Dessardo, Fabio Sfiligoi… Alcuni ci sono ancora, altri non sono più tra noi e non me ne vogliano coloro che non ho nominato. Sono rimasto sempre in contatto con gli amici della Voce e ancor’oggi ci ritroviamo a casa mia, che sono milanista, per vedere le partite assieme agli interisti, con i fratelli Vidotto, Ivo e Lucio, Mauro Bernes e Alessandro Superina”.

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