UI. Superati alcuni scogli si corre ancora in salita

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UI. Superati alcuni scogli si corre ancora in salita

Si è cercata la scelta più equilibrata tra diverse opzioni, una scelta di compromesso, nella consapevolezza che alla fine ci si trova con un documento che coglie alcune indicazioni di fondo, ma, in definitiva, “non soddisfa nessuno”, non almeno interamente. Ne è ben consapevole il presidente del Comitato per lo Statuto e il Regolamento, l’umaghese Mauro Jurman, che insieme con gli altri membri dell’organismo – Neda Šainčić Pilato (Visinada), Moreno Vrancich (Fiume), Dyego Tuljak (Pirano) e Mauricio Veronese (Verteneglio) – ha ora il compito di elaborare un’ulteriore sintesi, dopo il dibattito che si è sviluppato all’ultima seduta dell’Assemblea e che ha avuto al centro dell’attenzione il nuovo Statuto dell’Unione Italiana.

Dovrebbe essere il rush finale prima dello scioglimento del “parlamento UI” per poi tornare alle urne. La legislatura 2018-2022 si sta infatti avviando a conclusione (tra maggio e giugno andrebbero indette le elezioni 2022), ma resta ancora da vedere quando si andrà al voto, se agli inizi dell’estate – come avvenuto quattro anni fa (precisamente l’8 luglio, con l’Assemblea che si è insediata l’8 agosto) –, a meno che non si vogliano anticipare i tempi, o viceversa prorogare la durata del mandato e spostare le consultazioni più in là, come prevede la bozza (lavorativa) di Statuto, consegnata ai consiglieri a Pisino a fine febbraio dal Comitato UI, che guarda a settembre (la terza domenica?) come il periodo ottimale, quando, dopo la pausa estiva, riprendono tutte le attività, si ritorna a scuola e sui posti di lavoro.

Un opera di revisione

Nonostante tutti i possibili difetti, il testo prodotto, e che ora va ulteriormente integrato e modificato – destreggiandosi anche tra i vari pareri e in merito osservazioni concrete sono state formulate dai presidenti Maurizio Tremul (UI) e Paolo Demarin (Assemblea), che hanno anche presentato una propria proposta organica, nonché Marin Corva (Giunta esecutiva), dai consiglieri Krsto Babić (Abbazia), Gaetano Benčić (Torre), Valmer Cusma (Pola), Antonella Degrassi (Umago), Gianclaudio Pellizzer (di Rovigno, pure lui ha trasmesso un documento) e Moreno Vrancich (Fiume) –, revisionato (pure linguisticamente), limato e affinato, è comunque un passo avanti e un risultato non indifferente: è il primo progetto di riforma istituzionale e strutturale dell’UI che potrebbe andare in porto. C’è tempo, anche se non tantissimo. Forse se ne ritornerà a parlare a brevissimo, considerato che resta da esaminare (entro marzo?) il bilancio consuntivo dell’UI di Capodistria.

L’attuale Statuto (emendato alcune volte nel corso dei decenni, ndr) risale nel suo testo originario al 1991, opera dei “nostri padri fondatori” – tra cui quel professor Antonio Borme che tutti citano come faro, la cui lezione e visioni sarebbero per molti da seguire ancor oggi, oltre che Ezio Giuricin, come ricorda il presidente dell’UI, Maurizio Tremul, che nella “vecchiaia” del documento non ci vede nulla di male, considerato che la Costituzione della Repubblica Italiana di anni ne ha più di 70 e continua a essere “la più bella del mondo” –, e, salvo alcuni rimaneggiamenti tecnici dettati dalle modifiche delle leggi che disciplinano l’attività e la gestione delle associazioni no-profit, ha retto e funzionato praticamente per trent’anni.

Limiti a mandati e «candidabilità»

In effetti, nella primavera 2010 era già stato fatto un tentativo di rivedere il documento fondamentale dell’organizzazione unitaria degli italiani di Croazia e Slovenia, ma alla fine (forse anche perché arrivava sul filo del rasoio, a ridosso delle elezioni, che poi si avranno il 13 giugno di quell’anno) l’unica sostanziale novità emersa furono le elezioni “mediante suffragio diretto, libero e segreto, da parte dei soci effettivi dell’Unione Italiana” del presidente e di quello della Giunta esecutiva. Era stato anche stabilito che il loro mandato quadriennale non poteva essere rinnovato per più di due volte consecutive e che nessuno dei due poteva “candidarsi ad altre cariche” all’interno della stessa UI e delle Comunità degli Italiani, essendo il loro mandato “incompatibile con qualsiasi carica o funzione all’interno di queste associazioni”.

Nella bozza 2022, la limitazione dei mandati è mantenuta, come pure si riprende la faccenda dell’incompatibilità, ma estendendola anche a chi fa parte di “istituzioni, enti o società fondate o partecipate dall’UI”. Inoltre, i membri della Giunta esecutiva non potrebbero essere consiglieri assembleari. Aspetti che hanno fatto storcere il naso ad alcuni consiglieri perché di fatto riduce il “bacino” dal quale attingere la futura leadership (ad esempio, escludendo i connazionali del Centro di ricerche storiche, quelli della casa editrice Edit di Fiume o del Centro “Combi” di Capodistria).

Due presidenti eletti dall’Assemblea

Si va verso la rinuncia al voto diretto dei due presidenti: è una delle rotte emerse (e votate con larga maggioranza, 31 “sì” su un quorum di 40) nel corso dell’ultima discussione, avuta il 9 marzo a Buie. Si tratta di uno dei punti maggiormente attenzionati e che spacca le due correnti di pensiero: chi tende e spinge perché si affermi la centralità e la sovranità dell’Assemblea – ma anche chi teme possa, di fatto, esserci una “lotta impari” tra un candidato nuovo e un presidente uscente che si ripresenta (partendo avvantaggiato, per cui in definitiva questo sistema si presterebbe a un’ingegneria elettorale tesa a cementare e conservare le posizioni di taluni) – insiste affinché i presidenti scaturiscano da quest’ultima; chi invece vede nelle elezioni dirette un simbolo di assoluta e piena democraticità, intesa anche come partecipazione della base, vuole salvaguardare questo principio, negli ultimi tre mandati, vanto dell’UI.

Sempre a proposito di presidenti, va chiarito quanti presidenti: tenere gli attuali tre, o ridurli a due – come nella bozza –, ossia avere un presidente dell’Assemblea che diventa anche presidente dell’UI, affiancato da uno o due vice, e il presidente della Giunta. Ed è su quest’ultima variante che parrebbe convergere la maggioranza, in sintonia con la volontà di avere un’Unione Italiana più efficace e snella, con meno consiglieri e con meno organi rappresentativi. In quest’ultimo caso, il sondaggio promosso nel 2021, ha fatto (appunto) capire che basterebbero due presidenti.

La base sono le CI

Si diceva della centralità dell’Assemblea: un concetto che deriverebbe dalla stessa logica con cui si struttura l’UI, e che sarebbe in effetti (l’ha ribadito Demarin) una federazione di associazioni, avendo la sua base nelle Comunità degli Italiani, le quali dovrebbero scegliere i propri rappresentanti nella stessa. Tra le opzioni in campo, anche di una specie di bicameralismo, con la trasformazione dell’Attivo delle CI in una vera e propria Camera con precise prerogative (anche di veto, o voto sospensivo, ma solo fino a un certo punto, sulle faccende che le riguardano). Il Comitato per lo Statuto il Regolamento, inoltre, disciplina diversamente rispetto alla situazione attuale anche i rapporti tra l’UI di Fiume e quella di Capodistria, ossia ricorrendo a un escamotage. Fatto necessario, secondo Jurman, perché la normativa croata dice che il socio di un’associazione è colui che oltre a fornire i riferimenti anagrafici deve avere pure il numero identificativo personale ovvero il cosiddetto OIB. Dunque, dovrebbero fornirlo anche i soci in Slovenia. Tutti questi dati sono necessari anche per poter esercitare il diritto di voto attivo e passivo. L’idea è di far associare le CI presenti sul territorio sloveno all’Unione Italiana di Capodistria, e quindi l’UI con sede a Capodistria – nella bozza la denominazione è Ufficio dell’UI a Capodistria – a sua volta si assocerebbe all’Unione di Fiume.

Se il numero dei consiglieri era finora uno scoglio sul quale poteva arenarsi ogni tentativo di riforma, l’ostacolo sembrerebbe superato grazie al “modello Tuljak”: 62 consiglieri, tre scaglioni in base al numero dei soci delle CI (1 consigliere fino a 899, 2 fino a 2.999 e 3 per quelle con più di tremila). Si recepisce la raccomandazione di avere almeno un rappresentante a Comunità (sono in tutto 51) e la riduzione del parlamentino UI. È comunque una chiave di compromesso, anche se forse difficile da mandare giù alle grandi Comunità, alcune delle quali si vedono dimezzate la presenza in Assemblea. Inoltre, chi auspicava un approccio più coraggioso e radicale (massimo 25 o 35 consiglieri, circoscrizione unica per superare il “campanilismo” e indurre i rappresentanti a occuparsi di tutto il territorio) è rimasto deluso. Scontenti tutti, si diceva, per motivi diversi. Ma, alle volte, capita di dover fare scelte dolorose nel presente, in ottica di un bene futuro. D’altro canto, anche i più critici sono apparsi propensi ad appoggiare la manovra in considerazione del fatto che se da una parte non è ancora maturato il momento per attuare scelte rivoluzionarie, dall’altra parte appare quasi impossibile, senza che vi sia un reale cambiamento, avere nuovi stimoli, nuova linfa, un ulteriore progresso. Resta da vedere se poi – ammesso che si trovi il consenso necessario per arrivare in porto con la riforma – alla fine avremmo un cambiamento gattopardiano.

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