La Roma si trova un po’ in un limbo. Un inizio di stagione in salita sotto il profilo dei risultati, la contestazione da parte dei tifosi per l’esonero di una bandiera come De Rossi e una proprietà assente – sotto il profilo mediatico –, con la famiglia americana Friedkin che ha appena formalizzato l’acquisto dell’Everton e pare molto stuzzicata dalla nuova avventura in Premier. L’arrivo in panchina di Ivan Jurić ha avuto un impatto positivo: in campionato sono arrivati i successi contro Udinese e Venezia, in Europa League il pareggio con l’Athletic Bilbao. Dopo anni di gavetta e di importanti risultati raggiunti alla guida di Genoa, Verona e Torino, per il tecnico spalatino è finalmente giunta l’opportunità di allenare una big della Serie A come la Roma. Le tempistiche non sono tuttavia delle migliori perché non è mai facile subentrare in corsa e per di più in un ambiente segnato dalle tensioni tra tifoseria e società. Ma Jurić è uno che non si tira mai indietro e più la montagna è impervia da scalare e più lui è determinato ad arrivare in vetta, assieme alla sua consolidata squadra di collaboratori, tra cui il “fido scudiero” Stjepan Ostojić nel ruolo di preparatore atletico. Anche per il fiumano classe 1975 la panchina giallorossa rappresenta uno di quei treni che passano una sola volta nella vita.
Prime sensazioni?
“È successo tutto molto in fretta. Siamo arrivati in un momento delicato dopo l’esonero di De Rossi e le tensioni createsi attorno al club, ma le due vittorie in campionato e il buon pareggio in Europa League ci hanno permesso di ritrovare un po’ di serenità”.
Intanto però la protesta dei tifosi verso la dirigenza va avanti e anche nell’ultima partita contro il Venezia la Curva Sud è rimasta in silenzio per i primi 15 minuti…
“È un loro diritto manifestare il proprio malcontento ed esprimere la propria opinione, ci mancherebbe. Il compito di noi dello staff e dei giocatori è però quello di pensare esclusivamente al campo e non a ciò che succede fuori. È chiaro che avremmo preferito arrivare in un ambiente più sereno, ma io sono fiducioso e convinto che col lavoro e i risultati riusciremo a conquistare la loro fiducia. Abbiamo solo bisogno di tempo”.
A differenza dei dirigenti delle altre società, la famiglia Friedkin si espone raramente dando così la sensazione di essere assente e disinteressata della squadra…
“Non sta a me giudicare. E comunque non entro in queste dinamiche. Se parlano poco con i media sarà un fatto loro. Posso solo dire che siamo arrivati in un club super organizzato, con una struttura e ruoli ben definiti. Abbiamo tutto il necessario per lavorare al meglio”.
Su quali aspetti sta insistendo Jurić?
“È un allenatore diverso rispetto a Mourinho e De Rossi. Predilige un altro tipo di gioco perciò l’obiettivo è cercare di fare in modo che i giocatori acquisiscano quanto più in fretta le sue idee e gli aspetti tattici. Naturalmente è un processo che ha i suoi tempi, ma più andremo avanti e più i vari pezzi si incastreranno”.
Obiettivi in campionato?
“La qualificazione alla prossima Champions”.
E in Europa League?
“Non abbiamo un obiettivo in particolare. Approcciamo ogni partita come se fosse una finale e poi vedremo fin dove riusciremo a spingerci”.
Come sta Dybala, considerando la sua fragilità di fondo? Tra contratture, stiramenti e affaticamenti è spesso fuori combattimento…
“Dybala sta bene e si sta allenando regolarmente. Non è indietro di condizione e tiene tranquillamente il passo dei compagni. È un professionista dalla testa ai piedi, uno di quelli che in allenamento dà sempre il massimo. Poi è chiaro che ci sono giocatori un po’ più soggetti agli infortuni e in questo caso bisogna saperli preservare. Ci aspettano tantissime partite in questa stagione perciò valuteremo con attenzione quando utilizzarlo e quando invece farlo rifiatare”.
Jurić è notoriamente un sergente di ferro…
“Dai giocatori pretende il massimo impegno, dedizione e professionalità. Che poi è quello che ogni allenatore chiede. Non esiste un’altra ricetta. E poi ci sono determinate regole che vanno rispettate. Lo stesso discorso vale ovviamente anche per i suoi collaboratori. Il fatto che da dieci anni lo staff tecnico sia sempre lo stesso significa che noi ci troviamo bene con lui e viceversa”.
Perché in estate siete andati via dal Torino?
“Per lo stesso motivo per il quale avevamo lasciato il Verona qualche anno prima. Siamo venuti al Verona che era una neopromossa, quindi una squadra destinata a lottare per la salvezza. Eppure nei due anni trascorsi lì abbiamo centrato un nono e un decimo posto. Quello era il limite massimo oltre il quale l’asticella non poteva essere alzata. Volevamo di più, una realtà più ambiziosa, capace di lottare per un posto in Europa e giocarsela con squadre come Lazio, Roma o Fiorentina. Il Torino era uno step in più rispetto all’Hellas, anche se in tre anni abbiamo conquistato gli stessi piazzamenti, due decimi e un nono posto, ma a mio avviso alla luce di tutti i problemi che ci sono stati abbiamo ottenuto il massimo. Anzi, se la scorsa stagione la Fiorentina avesse vinto la Conference saremmo andati in Europa. Di più non si poteva fare e così Jurić ha preferito cercare nuovi stimoli e una nuova sfida”.
Qualche rimpianto?
“Nessun rimpianto. Ogni esperienza porta con sé cose positive e negative: fai tesoro di quelle positive e impari da quelle negative”.
Chi vincerà lo scudetto?
“È ancora prematuro. Oltretutto la classifica è al momento cortissima, a differenza della scorsa stagione quando l’Inter era già in fuga dopo poche giornate. Penso sarà un affare tra Inter, Juve e Napoli”.
Hai visto Rijeka-Hajduk?
“Non sono riuscito a vederla essendo stati anche noi in campo domenica. Naturalmente seguo il Rijeka e il campionato croato in generale”.
Rijeka e Hajduk sapranno mettere i bastoni tra le ruote alla Dinamo?
“Il Rijeka sì, l’Hajduk no. I fiumani sono più completi”.
Fino a quando Gattuso resisterà sulla panchina spalatina?
“Fino a quando avrà i risultati dalla sua”.
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