Prosecco vs. Prošek: le «colpe» dell’Ue

Lo storico Fulvio Colombo, dell’Università degli studi di Trieste, spiega i punti focali della querelle enologica in atto tra Italia e Croazia

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Prosecco vs. Prošek: le «colpe» dell’Ue

Uno scontro tanto roboante quanto poco credibile, probabilmente anche “inutile”, quello tra Prosecco e Prošek. Sul tema sono intervenuti tutti, ministri e sindaci, editorialisti ed eurodeputati, produttori ed associazioni di categoria. La stampa ha parlato di “levate di scudi” e “barricate” promesse dai politici e soprattutto della decisione “vergognosa” e “folle” della Commissione europea, anche se alla fine è emerso che quella decisione non è ancora stata presa. Per avere le idee più chiare e capire di più l’oggetto del contendere ci siamo rivolti a Fulvio Colombo, professore dell’Università degli Studi di Trieste e collaboratore del Centro di ricerche storiche di Rovigno.

Professore, che idea si è fatto dell’intera querelle?

”È una contesa che non sta in piedi. Il Prošek dalmata ha una produzione limitata e un export minimo se non nullo confrontandolo col Prosecco veneto. È una questione di assonanze, di ‘Italian sounding’, un fenomeno che consiste nel dare a un prodotto alimentare straniero tutte le apparenze (visive e terminologiche) di un prodotto italiano per venderlo con più facilità, ma si è spesso taciuto sul fatto che il Prošek non è in realtà uno spumante che vuole rivaleggiare col Prosecco e che la storia dei due vini, seppur differenti, è molto intrecciata.
Il Prošek si può considerare un vino di nicchia, che compare in alcune ricette, ad esempio in quella della pašticada, la pastissada, altro ponte tra Veneto e Dalmazia. Va diviso in prodotto industriale di scarsa qualità e prodotto di elevata qualità come l’Hektorovich. Il Prosecco è un rinomato vino italiano che lo scorso anno ha venduto oltre 500 milioni di bottiglie in tutto il mondo. Il Prošek, invece, è un vino dolce prodotto sulla costa dalmata, che arriva a diverse migliaia di litri di bottiglie l’anno”.

Relazioni inesistenti a parte il «sounding»

Sia sul versante italiano che su quello croato, scrive il prof. Colombo in uno dei suoi tanti trattati, si è affermato che non c’è e non c’è mai stata alcuna relazione tra il Prosecco e il Prošek dalmata, viste le caratteristiche odierne dei due vini: il primo prodotto per lo più in versione spumantizzata da un vitigno a bacca bianca che sino a qualche anno fa aveva lo stesso nome (riconducibile storicamente senza difficoltà alla località di Prosecco, in provincia di Trieste), il secondo, un vino dolce con maggior contenuto alcolico, un vino da dessert, prodotto da uve passite sia a bacca bianca che nera (a seconda della località di produzione), ritenuto autoctono perché prodotto da tempo immemorabile nella regione.
Allo stato attuale delle conoscenze, la più antica citazione di un vino di nome Prosecco, in Dalmazia, è relativa alla località di Almissa, l’odierna Omiš. Nel Viaggio in Dalmazia dell’abate padovano Alberto Fortis, del 1774, il riferimento è preciso e la corrispondenza grafica assoluta: “Il Territorio d’Almissa … Quantunque non sia coltivato con molta intelligenza produce squisito vino: e la bontà de’ fondi vince la poco buona coltura. Il Moscadello, e ‘l Prosecco vecchio d’Almissa, e generalmente tutto il vino, che vi si fa con diligenza d’uve ben mature, e riposate, merita d’aver luogo in qualunque banchetto”. Nel Coneglianese la prima citazione è del 26 febbraio 1772, ad opera di Francesco Maria Malvolti con i “prosecchi” collocati tra i vini dolci mercantili, scrive Colombo in uno dei suoi post sull’argomento.

La tabella (elaborata dal sito TasteAtlas, in inglese) che sintetizza» e mette a confronto le caratteristiche del Prosecco italiano e quelle del Prošek croato: tipologia di vino, prima citazione, zona di produzione, uve usate, metodo di vinificazione, aromi, abbinamenti ideali, scala di dolcezza

Fare un passo indietro

“Purtroppo parte della responsbilità del contendere appartiene a Bruxelles, che invece di limitarsi alla provenienza geografica del prodotto, uno in Veneto e l’altro in Dalmazia, ha preso in considerazione il ‘sounding’, una pratica non nuova in Europa e che causa molti danni all’industria alimentare italiana. Bastava che il Prošek si chiamasse ‘vin santo’ o altrimenti e il problema non sarebbe sussistito. Usando il ‘sounding’ si trae principalmente in inganno il consumatore. La parte croata per rafforzare la propria posizione dovrebbe inviare a Bruxelles un dossier storico completo in cui si spiegano le origini del suo prodotto, con tanto di date”.

E poi, come se ne esce?

“Bisogna avviare delle trattative fare un passo indietro sia uni sia gli altri fino alla soluzione che soddisfi le due parti che può essere un’etichetta con su scritto più in piccolo prosecco”. Parafrasando Shakespeare si potrebbe dire ‘tanto rumore per nulla’. Un disciplinare su come si produce il Prošek servirebbe a fare chiarezza e a differenziare anche legalmente i due prodotti…”.

Fulvio Colombo

Si può trarre una linea parallela con la polemica del teran con la Slovenia?

”È lievemente diverso, perché il termine Terrano stava a indicare un vino nostrano del territorio e così si trovavano vini terrano dal nord al sud d’Italia. L’Istria rappresenta un caso a parte considerata la presenza del vitigno sul territorio.
“Per noi è fondamentale proteggere le indicazioni geografiche”, ha ribadito il Commissario europeo all’Agricoltura Janusz Wojciechowski durante la trasferta a Firenze. La speranza è che stavolta l’Ue sia di parola e che agisca in conformità con le regole stabilite senza cambiarle a partita in corso. Se così sarà non c’è motivo per cui Prosecco e Prošek continuino insieme a far felici le nostre papille gustative.

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