Ogni scusa è buona per gonfiare i prezzi

Mercati. Covid-19, blocco delle importazioni, gelo e ora domanda elevata: chi paga sono i consumatori

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Ogni scusa è buona per gonfiare i prezzi

Quest’anno la sporta in piazza del Popolo ha un prezzo decisamente elevato. Ogni scusa è buona per gonfiare i prezzi che ormai cominciano scocciare sul serio. Non per nulla anche chi non abbia la necessità assoluta di risparmiare si sente preso per i fondelli. Prima è stato il Covid-19 e le difficoltà delle importazioni (o la chiusura dei ristoranti), poi è venuto il gelo di maggio che ha mandato in rovina una buona parte del raccolto di frutta, e infine è riesploso il turismo e la domanda di colpo ingigantita ha favorito un altra ondata del caro prezzi. Ma il finale è sempre lo stesso: chi paga è sempre il cittadino-consumatore. D’accordo, è legittimo il desiderio degli agricoltori di rifarsi il conto in banca dopo lunghi mesi di mancati o carenti introiti, ma resta il fatto che certi prezzi danno nell’occhio e altri sono letteralmente una spina nel fianco.

 

Pomodoro o pomo d’oro

Come giustificare il costo di 20 kune per un chilogrammo del pomodoro cuor di bue? Difficilmente. E lo stesso vale per le pesche, che in certi casi raggiungono il prezzo di 30 (e raramente scendono sotto le 26) kune. Persino l’uva delle pergole dei cortili di casa come la fragola e la malvasia si paga 20 kune il chilogrammo, mentre lo scorso anno e prima era sempre stata offerta a 12 kune. Di più: le pere si vendono a 24, le prugne a 16 (fino a un anno fa costavano esattamente la metà), le arance a 15, i limoni a 22, i kiwi addirittura a 40 kune, come i fichi, il lime a 50, le more a 100. Ma stiamo scherzando? Possibile che la ripresa dell’economia post-Covid deve per forza ridursi in saccheggio dei consumatori? Ed è proprio necessario spellare i turisti dopo un anno che sono mancati, non certo per colpa loro? Evidentemente l’emergenza pandemica ha sconvolto i mercati e il gelo della scorsa primavera ha fatto il resto. Le cause oggettive non sono mancate, ma nemmeno mancano le speculazioni: più ci sono turisti in giro (e ce ne sono ancora, in grazia del bel tempo) più i prezzi volano. E quando i prezzi volano, è facile che tocchino le stelle.

Il cuore di bue costa 20 kune

L’occhio vuole la sua parte

L’esempio di certe “gradazioni” del prezzo dei fichi, frutto della tarda estate, è emblematico: c’è la cassetta dei frutti piccini, maturi e screpolati, in vendita a 30, e quella dei fichi sodi, grandi e poco maturi a 40. Scommettiamo che sono migliori quelli che costano meno? “Certo che sono più buoni quelli più brutti – ci racconta la ‘venderigola’ – ma gli stranieri vogliono il frutto bello a vedersi, e vogliono che siano tutti delle stesse dimensioni e dello stesso colore, anche a patto di pagarli di più. C’è poco da discutere”. È proprio vero: ogni cosa vale il prezzo che il compratore è disposto a pagare per averla. Vale per tutto, anche per i fichi. E questa volta vale anche per dei comunissimi pomodori, per le melanzane e la verza novella, da pagarsi tra le 14 e le 16 kune il chilogrammo. Anche la cipolla rossa costa tanto, e diverse varietà di peperone. Nella media, solo per le patate e le carote sono richieste meno di 10 kune, ma che razza di consolazione è questa? Rispetto a un anno fa, i prezzi sono decisamente volati alle stelle. Starà facendo i suoi danni anche l’inflazione, certamente. Ormai anche il mantra della “merce a chilometro zero” non giova. Anche per frutta e verdura vale una regola assurda: se è nostrana, costa più di quella che arriva dal resto del mondo.

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