Il Memorandum di Londra: è questo il tema scelto come cardine della Giornata di studio del Nord Adriatico – temi giuridici di attualità. Firmato il 5 ottobre del 1954 ed entrato in vigore il 26 dello stesso mese, il Memorandum determinò la spartizione di fatto del Territorio libero di Trieste, nonché di tutta la Zona A e Zona B. In occasione del settantesimo anniversario della firma del documento, che va inteso più come un “accordo di carattere pratico” che come un trattato internazionale, il tema è stato affrontato con un’accurata attenzione al contesto storico e con una serie di considerazioni sul presente e sul futuro delle minoranze nazionali.
La Giornata di studio, organizzata dalla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Fiume, in collaborazione con il Consolato generale d’Italia nel capoluogo quarnerino, si è concentrata dunque sul Contesto internazionale e le vicende di politica interna italiana, in una relazione di Davide Rossi, ricercatore dell’Università di Trieste, Dipartimento di scienze giuridiche del linguaggio, dell’interpretazione e della traduzione; sul Territorio libero di Trieste al centro dell’interesse della politica e della diplomazia italiana tra il 1947 e il 1954, in una relazione di Drago Kraljević, sociologo già ambasciatore della Repubblica di Croazia in Italia; ne Il Memorandum d’intesa tra diritto internazionale, vincoli costituzionali e prospettive di integrazione europea, con una lezione in merito da parte di Fabio Spitaleri, professore associato dell’Università di Trieste, Dipartimento di scienze giuridiche, del linguaggio, dell’interpretazione e della traduzione; con Le prime interpretazione del Memorandum d’intesa nella dottrina giuridica jugoslava alla luce del pensiero del prof. Milan Bartoš, in una presentazione di Budislav Vukas, professore ordinario dell’Università di Fiume, Facoltà di giurisprudenza; e per finire con Le relazioni croato-italiane e le sfide contemporanee, in una presentazione di Tatjana Tomaić, ricercatrice dell’Istituto di Scienze sociali Ivo Pilar di Zagabria. E questo solo per citare relatori e temi della prima parte della prima giornata… capite dunque l’imponenza di questo incontro.
L’importanza di collaborare
Dario Đerđa, preside della Facoltà di giurisprudenza di Fiume, nel suo discorso iniziale ha voluto sottolineare quanto sia importante affrontare certi temi collaborando tutti insieme nell’interpretare quanto successo. “Negli anni è nata una collaborazione molto forte fra questa Facoltà e alcune Università e istituzioni italiane e questa Giornata di studio, giunta ormai alla sua sesta edizione, ne è la dimostrazione. Pertanto non posso che ringraziare tutti quelli che partecipano all’evento con la volontà di creare un confronto che porta all’accrescimento reciproco e in particolare il console generale d’Italia a Fiume che ogni anno sostiene fortemente questo progetto”, ha affermato Đerđa.
Anche in virtù di queste parole non ci si è concentrati soltanto sul lontano passato, ma si è affrontato anche un passato molto più recente, toccando temi di attualità. È così che Tatjana Tomaić ha menzionato anche documenti più recenti, come il Memorandum d’intesa tra Croazia, Italia e Slovenia sulla tutela della minoranza italiana in Croazia e Slovenia, firmato da Italia e Croazia il 15 gennaio del 1992, nonché il Trattato tra la Repubblica Italiana e la Repubblica di Croazia concernente i diritti delle minoranze, del 5 novembre 1996.
Interpretazione diversa
La ricercatrice, però, non ha letto questi documenti con gli occhi con i quali li leggerebbe di un italiano, giungendo a conclusioni diverse. A Tatjana Tomaić salta ad esempio all’occhio che dei 9 articoli del trattato del ‘96 uno solo parli dei diritti dei croati in Italia, mentre sono ben 6 quelli che parlano dei diritti degli italiani in Croazia. “Considerando la Costituzione, soltanto i Comuni di Verteneglio e Grisignano dovrebbero essere bilingui, mentre invece in base allo Statuto della Regione istriana l’italiano è equiparato al croato in tutte le funzioni pubbliche. Grazie ai trattati si gode dunque di un livello di tutela molto più alto.
Considerando che l’Italia non riconosce le minoranze etniche, bensì soltanto le minoranze linguistiche, sarebbe auspicabile migliorare il livello di tutela dei circa 50mila croati che vivono in Friuli Venezia-Giulia. Non chiediamo di avvicinarli alla tutela dei cittadini croati di cultura italiana che vivono in Istria, ma va fatto qualcosa, almeno che non vengano trattati come degli immigrati”, ha affermato Tatjana Tomaić. È anche giusto che ciascuno si batta per i diritti dei propri, ma la definizione di cittadino croato di cultura italiana è un qualche cosa che non si sente tutti i giorni.
Diritti da equiparare…
Tatjana Tomaić ha citato anche l’onorevole Furio Radin, spiegando ai colleghi italiani come questi sia vicepresidente del Sabor grazie a un seggio garantito nonostante un calo costante di cittadini che si dichiarano di nazionalità italiana al censimento. “Nel Parlamento italiano non esistono seggi di questo tipo e non esistono partiti croati attivi nella scena pubblica. Mentre nel Trattato la Croazia riconosce l’Unione Italiana quale istituzione rappresentativa degli italiani”, ha affermato Tatjana Tomaić. La ricercatrice ha citato anche tutta una serie di diritti che gli italiani hanno oggi in Croazia e che invece i croati in Italia non hanno mai avuto, come le stazioni radio, la stampa e le scuole, ricordando anche TV Capodistria, che trasmette tutto il giorno in italiano, in una Slovenia che Tomaić ha ricordato avere pure lei un rappresentante al Parlamento, nonostante meno dell’1 per cento della popolazione sia italiano.
Linea o bilancia
Drago Kraljević nel suo intervento ha spiegato come ci siano stati vari momenti cruciali nelle trattative per la questione di Trieste. Uno di questi riguardava i criteri di assegnazione. Secondo la parte jugoslava avrebbe dovuto avere un grande peso la bilancia etnica, ossia il numero di effettivi cittadini che si identificavano come croati o sloveni in un territorio. Questo modo di spartire i territori avrebbe fatto sì, ad esempio, che località come Duino o Aurisina andassero indubbiamente alla Jugoslavia, isolando di fatto Trieste. Per questo, come spiegato da Kraljević, le autorità italiane si impegnarono per far sì che le trattative si concentrassero su un concetto diverso, ossia quello di linea etnica, riprendendo le idee presentate per la prima volta dal presidente statunitense Wilson nel 1917.
Drago Kraljević ha spiegato bene come tutte le trattative pubbliche fossero state bloccate da proteste popolari, in alcuni casi al grido di Trst je naš e in altri da quello Trieste è nostra. Il risultato era sempre lo stesso, ossia lo stallo. Fu così che la svolta avvenne grazie all’ambasciatore jugoslavo a Londra, che con la massima fiducia di Tito si impegnò a trattare con inglesi e americani, per poi presentare all’Italia una proposta da prendere o lasciare.
Tutto da rifare?
Estremamente interessante l’intervento di Fabio Spitaleri che si è concentrato su un aspetto spesso ignorato, sia all’epoca che oggi, ossia la legalità di quanto è stato fatto. Nella sua analisi si è concentrato su due questioni. Per prima cosa Spitaleri ha ricordato che il Memorandum di Londra è stato firmato da 4 Paesi, mentre il Trattato di pace del ‘47 da una platea molto più ampia: come poteva dunque il secondo rivedere le decisioni del primo? “Non aveva di certo un valore giuridico superiore essendo il numero dei firmatari minore”, ha fatto notare il professore. “La risposta è già stata data da Benedetto Conforti, uno dei più grandi internazionalisti italiani, che ha spiegato come l’articolo 1 del Memorandum parte dall’impossibilità di mettere in atto il Trattato, che quindi, essendo diventato inattuabile, non ha più valore”, ha raccontato Fabio Spitaleri. Il secondo problema riguarda il fatto che in base alla Costituzione italiana soltanto il Parlamento può decidere sulle modifiche territoriali e il Parlamento italiano, di fatto, non ha preso nessuna decisione sul Territorio libero di Trieste. “La firma è stata posta dal plenipotenziario e in teoria non è valida. In pratica però all’epoca nessuno si pose il problema e a detta del Conforti dal punto di vista giuridico tutto si risolse in poco tempo, in quanto il Parlamento votò più volte delle manovre finanziarie per inviare mezzi al TLT, sanando di fatto la mancata decisione precedente”, ha concluso Fabio Spitaleri.
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