Il DI e la CNI siano parte viva della cultura italiana

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Il DI e la CNI siano parte viva della cultura italiana
Foto: Ivor Hreljanović

Ho avuto il piacere di essere presente pochi giorni fa al concerto, come è stato chiamato, di benvenuto alla nuova sovrintendente del Teatro fiumano Ivan de Zajc, Dubravka Vrgoč. Ho molta fiducia ispirata dal suo lavoro che ho seguito soprattutto nel periodo quand’era direttrice dello ZKM di Zagabria. L’istituzione era il miglior teatro d’arte drammatica in Croazia con lavori innovativi e attenti alle tematiche sociali attuali. L’attesa è che ciò si iteri a Fiume.

Il concerto è stato un’esplosione di energia rock, con i nomi più celebri che hanno affermato questo genere a Fiume. In questa serata, con un’eccezione, si sono esibiti assieme all’orchestra del Teatro. Alle esibizioni musicali si è intercalata la presentazione di testi di autori e autrici della nostra città. Ho condiviso la gioia di rivedere questa vitalità urbana che invita Fiume a pulsare in sintonia con il suo ritmo (cosa benefica anche se letta alla luce, o alle tenebre, dei suoni che si odono passeggiando in centro). Immagino che una serata simile non sia stata un caso, ma l’espressione di un’idea di teatro legato alla cultura urbana ispirata dalle metropoli occidentali. Sono curioso di vedere come questa concezione si concilierà con forme espressive più convenzionali.

Scrivo con piacere dell’esibizione, in questa serata, della nostra Leonora Surian Popov e del nostro Giuseppe Nicodemo (e, direi, dell’amica Leonora e dell’amico Giuseppe). Sottolineo la loro simpatia e bravura. Il contenuto della presentazione della compagnia che hanno offerto è stato diverso rispetto al resto del programma. Contrariamente all’energia rock generalmente presente, si è parlato della storia, benemerita, del DI, della sua importanza e valore e, quindi, anche della presenza storica della CNI a Fiume. Si è cantata una canzonetta fiumana. E va bene tutto. Ma credo che sarà importante fare una riflessione su come inserire il DI in un progetto di teatro che si annuncia aperto fortemente a forme espressive non convenzionali, prive di una demarcazione rigida tra arte tradizionale e arte alternativa.

Credo che sarà importante creare e realizzare un programma che da un lato sia esteticamente innovativo e, dall’altro lato, attento alla realtà sociale presente. In generale, sono convinto che in una società dinamica come quella contemporanea abbiano una prospettiva solo i gruppi e le comunità che sono in grado o di essere autosufficienti anche isolandosi (non è il nostro caso, la CNI è troppo piccola), o di produrre qualcosa che abbia un valore generale, pur nella sua particolarità. Rimane opinabile se questo dinamismo delle società contemporanee sia un bene o un male. Ma la sua presenza è innegabile e qui bisogna saper destreggiarsi. In questo contesto, puntare primariamente a parlare di storia e presentarsi con forme espressive molto localizzate e tematicamente non propositive rispetto alla realtà attuale generale è controproducente. Nel peggiore dei casi ci si riduce a folklore, nel migliore dei casi a qualcosa che assomiglia a una raccolta da museo, piuttosto che a una realtà viva.

La carta da giocare per il DI, ma anche per tutta l’attività intellettuale, culturale e artistica della CNI, è quella di strutturarsi quale parte viva della cultura italiana (parlo di quella creata a Milano, Roma, ecc.), che è una delle grandi culture mondiali. Trasformando in vantaggio il fatto di essere una minoranza nazionale nel proprio contesto sociale e poter rivelare, pertanto, una realtà specifica. Contribuendo a questa società (perché qui si vive) in modo peculiare. Sfruttando l’orizzonte culturale distintivo quale ispirazione per innovazioni originali. L’opportunità è quella di imparare, pensando a che cosa si fa oggi ad esempio, a Verona, Genova, Catania… Integrando queste conoscenze con la realtà sociale e le ispirazioni culturali del contesto nel quale viviamo, nella Fiume di oggi, in Croazia e in Slovenia, ovviamente. La strategia che mi sembra l’unica con una proiezione futura è parlare partendo dello specifico, per dire qualcosa che abbia un valore universale (del resto, questo è uno dei criteri dell’arte elevata). E la valutazione degli standard di qualità deve corrispondere ai criteri d’eccellenza generali – ciò che faccio avrebbe valore anche a Torino o a Zagabria? – e non essere localizzata.

*Professore ordinario di Filosofia Politica

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