Deala, una nave «morta»

L’unità per il trasporto di bestiame, battente bandiera tanzaniana, incagliatasi il 16 aprile 2024 vicino al promontorio Ubas, all’ingresso del Canale d’Arsa, continua a far parlare di sé

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Deala, una nave «morta»
Foto: Sasa Miljevic / PIXSELL

Dopo mesi di quasi assoluto silenzio, la nave Deala continua a far parlare di sé, pur essendo praticamente “morta” e abbandonata a sé stessa. Ricorderemo che l’unità, adibita al trasporto di bestiame, si era incagliata il 16 aprile 2024 vicino al promontorio Ubas, all’ingresso del Canale d’Arsa. Prima di parlare di questa nave, faremo un breve – neanche tanto breve, diranno gli abitanti di questa zona dell’Istria – salto nel passato, più precisamente nei giorni successivi all’incidente.
Dieci giorni dopo l’incaglio e dopo reiterate proteste per l’assenza di interventi nonostante l’infiltrazione d’acqua nella nave Deala, il Ministero del Mare, dei Trasporti e delle Infrastrutture aveva rilasciato una dichiarazione: “Come già comunicato in precedenza, il 16 aprile 2024 il mercantile, battente bandiera tanzaniana, si è incagliato a nord di Capo Ubas. Dal momento dell’incaglio, e fino ad oggi, sono stati effettuati controlli e monitoraggi costanti sulla nave e sulla situazione generale. Dopo diverse ispezioni da parte di sommozzatori autorizzati e nuove valutazioni sulle condizioni della nave, è stato elaborato un piano di disincaglio”.

I «dieci giorni» del Ministero

In questa circostanza, il Ministero aveva assicurato che la nave sarebbe stata rimossa entro una decina di giorni. Sei mesi più tardi, il 24 ottobre 2024, presso la Direzione della sicurezza della navigazione del Ministero del Mare, dei Trasporti e delle Infrastrutture a Zagabria, veniva convocata una riunione d’urgenza riguardante la Deala. L’urgenza dell’incontro era dovuta al fatto che la nave si stava aprendo e si sta spaccando! Nessuno aveva dato ascolto agli abitanti di Arsia e Valmazzinghi, che conoscono bene le condizioni meteorologiche del periodo invernale e avevano subito avvertito di questa possibilità. Confermando l’avvenuta riunione, il Ministero aveva voluto precisare che “Non si è verificata una rottura, ma è stata individuata un’altra crepa a poppa!”.
“L’incontro era stato precedentemente programmato – aveva sottolineato in una nota il Ministero –, quindi non si trattava di una riunione d’urgenza, ma del proseguimento delle attività legate alla questione della rimozione della nave con gli assicuratori, i quali avrebbero espresso interesse a prendere in carico la gestione della situazione della Deala. Inoltre, non si è verificata alcuna rottura, ma è stata individuata un’ulteriore crepa a poppa, oltre a quelle già esistenti sullo scafo. Precisiamo anche che la nave continua a essere monitorata e che non rappresenta un pericolo per l’inquinamento o per la sicurezza della navigazione in quella zona”.

Saccheggiata e devastata

Nel frattempo, la nave è stata completamente saccheggiata e devastata, il proprietario è sparito nel nulla e ora saranno i contribuenti croati a pagare il conto, che dovrebbe superare i tre milioni di euro! Lo smaltimento del relitto – perché ormai di relitto si tratta – è stato assunto dallo Stato, dopo il fallimento della comunicazione con la compagnia assicurativa. Tuttavia, non è ancora chiaro chi e in che modo si occuperà del disincaglio o della rimozione del relitto, ormai completamente depredato e abbandonato dall’armatore e dall’equipaggio subito dopo l’incidente dell’aprile scorso. La compagnia assicurativa ucraina, a cui spettava la gestione della situazione, non ha risolto il problema, che ora è interamente a carico dello Stato croato.

Foto: Sasa Miljevic / PIXSELL

L’ultimo viaggio

Il viaggio, nell’aprile 2024, da Haifa, in Israele, ad Arsia è stato quasi sicuramente l’ultimo per la Deala, evidentemente stanca di battere i mari per quasi cinquant’anni. Infatti, l’unità battente bandiera della Tanzania (porto di immatricolazione Zanzibar) è stata costruita nel 1976 dagli stabilimenti Jansen Schiffswerft di Leer, città della Bassa Sassonia, in Germania. In questo periodo la Deala, adibita al trasporto di bestiame, ha cambiato nome (e proprietario) 22 volte. È lunga 79,51 e larga 13,62 metri, con 5,2 metri di pescaggio. Ha una stazza lorda di 2.230 e una portata di 1.890 tonnellate. È iscritta nei registri della Vietnam Shipping Register. Pur figurando come proprietaria della nave la compagnia siriana ISM Group Tartus, a gestirla era la Deala Shipping Co di Istanbul, in Turchia.

Il transponder disinserito

Va detto, ancora, che il transponder AIS di bordo aveva smesso di trasmettere i proprio dati alle ore 5.46 del 12 aprile 2024, quattro giorni prima, cioè, dell’incidente, per poi riattivarsi brevemente alle 9.15 del 17 aprile. Il sistema AIS (Automatic Identification System) è un sistema di identificazione automatica utilizzato per tracciare la posizione delle navi in tempo reale. Funziona grazie a un transponder a bordo che trasmette e riceve dati via radio sulle frequenze VHF. Ogni nave dotata di AIS invia periodicamente informazioni che si suddividono in due categorie principali. La prima riguarda i dati statici (trasmessi ogni 6 minuti o su richiesta), con il nome della nave, il numero IMO (quello della Deala è 7405091) o MMSI (Maritime Mobile Service Identity), il tipo di nave, le dimensioni e la posizione dell’antenna GPS a bordo.

I dati dinamici, invece, vengono trasmessi ogni 2-10 secondi mentre la nave è in movimento, oppure ogni 3 minuti se è ferma. Questi dati riportano l’esatta posizione GPS (latitudine e longitudine), la rotta, la velocità, la direzione della prua, lo stato di navigazione (ad es. in navigazione, ancorata, alla fonda) e la profondità del pescaggio.
Le informazioni trasmesse vengono ricevute da altre navi vicine dotate di AIS, per evitare collisioni e migliorare la consapevolezza della situazione in mare, dalle stazioni costiere e dai centri di controllo del traffico marittimo (VTS), che monitorano il traffico navale nelle zone di loro competenza e dai satelliti AIS, che permettono il tracciamento delle navi in mare aperto, dove le stazioni costiere non arrivano.

L’assenza del segnale è… un segnale

La domanda che ci si pone, è se qualcuno a bordo di una nave può decidere deliberatamente di disinserire il transponder AIS. Cero che lo può fare, ma ci sono alcune considerazioni importanti da tenere a mente. Le normative marittime, in particolare quelle dell’IMO (International Maritime Organization) e della SOLAS (Safety of Life at Sea), stabiliscono che le navi soggette all’obbligo di AIS devono tenerlo acceso in ogni momento, tranne in situazioni eccezionali (l’incaglio della Deala?!?). Se il comandante della nave dovesse ritenere che la trasmissione dell’AIS potrebbe mettere a rischio la sicurezza della nave, ad esempio in aree ad alto rischio di pirateria (come il Golfo di Aden o lo Stretto di Malacca), allora lo spegnimento del transponder è legittimo, come lo è in caso di minaccia terroristica o militare, tant’è che navi militari o governative spesso disattivano l’AIS per motivi di sicurezza. Inoltre, alcuni Paesi impongono limiti all’uso dell’AIS nelle loro acque, per motivi di sicurezza nazionale.

Spegnere il transponder AIS senza una valida giustificazione può essere considerato un comportamento sospetto e perfino illegale, magari per evitare controlli doganali o nascondere attività illecite come traffico di droga, armi o pesca illegale, operazioni di pesca non autorizzata in acque protette, navigazione sotto false dichiarazioni, ad esempio spegnendo l’AIS e riaccendendolo con un’identità diversa (pratica nota come spoofing), oppure per eludere sanzioni internazionali, come nel caso di navi che trasportano petrolio sotto embargo.

Un abbandono premeditato?

Le autorità marittime e le piattaforme di tracciamento satellitare (come MarineTraffic o VesselFinder) tengono sotto controllo le navi che “scompaiono” improvvisamente dal sistema. Un comportamento anomalo può far scattare controlli più approfonditi, specialmente in aree sensibili. In conclusione, sebbene tecnicamente possibile, disattivare l’AIS può avere conseguenze serie, soprattutto se non si tratta di un’emergenza giustificata. Le autorità marittime potrebbero considerarlo un comportamento sospetto, con potenziali ripercussioni legali.

Se la Deala ha cessato di trasmettere il segnale AIS quattro giorni prima dell’incaglio, ci possono essere diverse spiegazioni. Tra le ipotesi possibili c’è indubbiamente la disattivazione intenzionale. Qualcuno a bordo, infatti, potrebbe aver spento il transponder AIS volontariamente. Questo può accadere per motivi illeciti, come evitare il tracciamento o nascondere manovre sospette, ma anche per ragioni operative. Ad esempio, alcune navi lo spengono in zone a rischio di pirateria, ma questo non è certamente il caso della Deala. Il transponder AIS potrebbe essersi guastato per un problema elettrico o per un malfunzionamento del sistema. Tuttavia, un problema tecnico così prolungato senza tentativi di riparazione sarebbe sospetto. Ci potrebbero essere stati problemi di alimentazione. Se la nave ha avuto problemi con il sistema elettrico o la batteria di riserva del transponder, il segnale potrebbe essere stato interrotto.

Insomma, se il segnale AIS della Deala si è spento improvvisamente quattro giorni prima dell’incaglio e non è stato riattivato, potrebbe trattarsi di una decisione consapevole dell’equipaggio o di un problema lasciato irrisolto. Vista la situazione della nave dopo l’incidente (abbandonata, devastata e con l’armatore sparito), l’ipotesi di una disattivazione intenzionale per qualche motivo poco chiaro diventa più che plausibile. Forse avevano deciso subito, in accordo con l’armatore, di abbandonare la nave…

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