Coppitelli: «Titolo? Bravo Rijeka, ma dico Hajduk»

Il tecnico romano parla del duello tra fiumani e spalatini, ma anche della sua esperienza all’Osijek e di altri aspetti del calcio croato

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Coppitelli: «Titolo? Bravo Rijeka, ma dico Hajduk»
Foto: Davor Javorovic/PIXSELL

Chi la spunterà nel duello tra Rijeka e Hajduk? La Dinamo riuscirà a rientrare in corsa? Chi strapperà l’ultimo pass per l’Europa? Chi retrocederà? Riuscirà lo Slaven Belupo a sovvertire il pronostico e alzare il suo primo Sole di Rabuzin? Sono tante le domande ancora aperte in vista del rush finale della SHNL. Chi conosce bene le dinamiche del campionato croato è Federico Coppitelli. Non essendo più legato all’Osijek, il tecnico romano è il profilo ideale per fornire una chiave di lettura neutrale e oggettiva su ciò che ci aspetta nel prossimo mese e mezzo.

Mister, nel corso della stagione aveva più volte ribadito che la favorita per il titolo è l’Hajduk: è ancora di quest’avviso?
“Sia il Rijeka che l’Hajduk stanno facendo dei percorsi molto simili. In un campionato molto equilibrato come quello di quest’anno hanno avuto nel corso della stagione la capacità di vincere delle partite, o comunque di fare punti, anche quando non era così scontato come nell’ultimo turno. Sarà quindi un bel duello fino alla fine, ma il mio pronostico rimane quello”.

Che cosa hanno gli spalatini più dei fiumani?
“Nella prima metà di stagione il Rijeka è stata la squadra con più giocatori decisivi, l’Hajduk invece ha saputo trovare il miglior bilanciamento tra organizzazione e individualità. E questo tratto è rimasto. Il Rijeka ha un grandissimo spirito di squadra, ma l’Hajduk ha in rosa il giocatore più forte del campionato…”.

Quindi secondo lei Livaja è più incisivo rispetto a Fruk?
“Livaja è l’unico giocatore di questo campionato che quando vuole fare gol, può fare gol. Fruk è un calciatore completo con davanti una brillante carriera, però se devo scegliere un giocatore a cui dare l’ultima palla allora scelgo Livaja perché è quello che incide di più in qualunque situazione. E lo si è visto anche nell’ultimo turno”.

Che cosa farà la differenza alla fine?
“La faranno i dettagli. Rijeka e Hajduk sono praticamente sullo stesso livello e il loro scontro diretto avrà perciò un grande peso”.

Il Rijeka può vincere il doblete?
“Sicuramente è più forte dello Slaven e quindi è favorito per la Coppa, soprattutto in una doppia sfida e con il ritorno in casa. Bisognerà però capire quante energie la Coppa farà disperdere loro in campionato. E lì la differenza la faranno la mentalità e la condizione atletica. Poi è chiaro che in Coppa hanno molte più chance rispetto al campionato”.

La Dinamo potrà rientrare in corsa?
“È molto difficile. Un conto è fare la rincorsa su una squadra, che magari può bucare qualche partita e mollare un po’, un altro è farlo su due perché è difficile pensare che Rijeka e Hajduk possano entrambe mollare. Però nel calcio mai dire mai e comunque la Dinamo è l’unica squadra che potenzialmente può vincere anche dieci partite di fila”.

Parlando del “suo” Osijek, è un’annata disastrosa. Le premesse a inizio stagione erano ben altre e fa un certo effetto vedere la squadra relegata all’ottavo posto: che cosa non ha funzionato?
“Quando sono stato esonerato eravamo a tre punti dal quarto posto e in semifinale di Coppa… È una stagione molto complicata per tante situazioni che non potevamo gestire come infortuni e mercato che si sono incastrati male. Sono comunque cose che capitano. Nel calcio in generale, ma in Croazia ancora di più, la figura dell’allenatore è poco solida. Ci può stare secondo quest’analisi che delle volte a pagare sia l’allenatore, però se si guarda l’Osijek che ha giocato l’ultima partita col Varaždin e si analizza con competenza, si vede una squadra che ha un’idea di gioco. Abbiamo pareggiato una partita che se la rigiochiamo 100 volte la vinciamo 99. Ripeto, la squadra era viva. Poi si è scelto di ripartire con un nuovo allenatore, ma ci vuole comunque del tempo perché nessuno ha la bacchetta magica”.

Infatti il cambio in panchina non ha dato la scossa auspicata e, anzi, l’Osijek è sprofondato.
“Ero sicuro che il cambio non avrebbe aiutato la squadra, ma non per presunzione bensì perché vedevo che i ragazzi credevano in quello che facevano e vuoi o non vuoi quando cambi devi, appunto, cambiare. E cambiare significa ricominciare da capo e purtroppo è molto difficile nel breve termine ricreare qualcosa e infatti la situazione è andata peggiorando. A inizio stagione si era partiti con aspettative e responsabilità troppo grandi perché l’Osijek, al di là dello stadio e delle infrastrutture, l’anno scorso aveva faticato tanto ad arrivare quarto. Da quella squadra sono usciti alcuni dei giocatori più forti come Nejašmić, Lovrić e Mierez, con Matković che purtroppo infortunandosi non ha potuto dare nulla. Diciamo che da questo punto di vista ci stava un anno di transizione e negli anni di transizione ci sta che in cinque partite fai un punto. Quest’anno il nostro valore era più vicino ai competitor per il quarto posto. Poi è chiaro che se ti aspettavi di vedere un Osijek in lotta per il titolo, allora poteva esserci una perenne insoddisfazione. Che poi è quello che è successo”.

Il suo rimpianto più grande?
“Dopo gennaio abbiamo avuto qualche difficoltà tra infortuni e altre cose, però abbiamo sempre fatto delle buone prestazioni. Siamo stati molto sfortunati sia con lo Slaven che col Varaždin. Nessun allenatore può controllare un palo che entra o un palo che esce. Aver fatto 3-4 punti in più ci avrebbe fatto vivere quel momento con un po’ più di serenità e magari ora saremmo in finale di Coppa e con qualche punto in più in classifica. Purtroppo si è creata un’atmosfera negativa dove essere a tre punti dal quarto posto e in semifinale di Coppa sembrava un disastro. Per me invece era abbastanza in linea con quello che era il momento della squadra. Il mio rimpianto è solo quello di essere entrato in un circolo di partite negative dalle quali si è generata questa situazione. Se prima sembrava una tragedia essere quinti, adesso essere ottavi non so che cosa sia…”.

Vuole togliersi qualche sassolino dalla scarpa?
“Dai giocatori alla dirigenza tutti hanno spinto per aiutarmi. Purtroppo capitano delle annate in cui le cose non girano come vorresti. A gennaio lascia il direttore sportivo, si fanno male dei giocatori importanti, altri arrivati durante la sessione di mercato non riescono a integrarsi… Che poi paradossalmente sono state le stesse difficoltà che avevamo incontrato a inizio stagione. So come funziona il calcio e sapevo che una cosa del genere sarebbe potuta succedere qualora non fosse arrivata una vittoria, però al tempo stesso siamo stati anche sfortunati nelle ultime partite: sconfitta immeritata col Slaven, sconfitta con la Lokomotiva dopo essere rimasti in dieci dal 30’, pareggio col Varaždin in una partita dominata…”.

Che cosa le ha lasciato quest’esperienza?
“Ho avuto modo di conoscere un popolo e un Paese che non conoscevo. Però da straniero ho percepito questa continua instabilità della posizione dell’allenatore in Croazia. Ed è un peccato perché con un po’ più di tempo si sarebbe potuto costruire qualcosa di importante”.

Una cosa che l’ha sorpresa in positivo del campionato croato?
“Il campionato è più equilibrato rispetto all’anno scorso quando squadre di media fascia non avevano alcuna ambizione. Ora invece Slaven, Varaždin, Istra, Lokomotiva e Gorica sono su un buonissimo livello. Rijeka, Hajduk e Dinamo restano un gradino sopra, ma per il resto i valori sono molto simili”.

E una in negativo?
“Le infrastrutture. Il calcio croato è molto tecnico e giocare su campi non all’altezza è penalizzante per tutti”.

Chi è il miglior allenatore del campionato?
“Gattuso per il percorso che ha fatto e per le squadre che ha allenato è fuori categoria. Poi faccio i complimenti a Ðalović, che non conoscevo e che al primo anno da primo allenatore sta portando in porto una nave che ha avuto non poche difficoltà nel mercato di gennaio”.

È stata una stagione molto complicata per i tecnici italiani. Tramezzani, Cannavaro e lei stesso siete stati esonerati e pure Gattuso non è esente da critiche: come mai non siete riusciti a incidere?
“C’è una sorta di diffidenza verso l’allenatore straniero, che sembra dover sempre dimostrare qualcosa in più. Però non funziona così e ad esempio alla Juve nessuno si pone il problema se Tudor sia italiano, croato o spagnolo. E questo è un passo che il calcio croato dovrà fare. Quando un allenatore del calibro di Gattuso arriva nel tuo campionato dovresti stendergli un tappeto rosso…”.

Che idea si è fatto sulla querelle tra Gattuso e Jeličić?
“Questo è l’esempio di un opinionista che non ha quel senso di responsabilità che chi fa questo mestiere dovrebbe avere. È vero che tu come giornalista puoi dire ciò che pensi, però devi anche pensare un po’ a quello che dici perché le tue opinioni possono condizionare il pensiero di persone che di mestiere fanno altro. Jeličić evidentemente non percepisce la responsabilità del suo ruolo e questo modo di porsi per noi allenatori va al di sotto dei consueti standard di correttezza”.

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