CNI, il futuro è digital

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CNI, il futuro è digital
Le lezioni si sono svolte presso l’agriturismo San Mauro. Foto TIna Braico

Il corso per giovani dirigenti e responsabili di progetti, organizzato dalla Giunta esecutiva dell’Unione Italiana a Momiano, è stato un successo. Durante lo scorso fine settimana 24 giovani provenienti un po’ da tutto il territorio di insediamento storico della CNI hanno seguito le lezioni, posto domande e poi approfondito il tutto con una serie di esercizi pratici. Le materie del corso riguardavano il marketing digitale, la comunicazione online e l’industria 4.0, con i relatori d’occasione che erano Danilo e Gabriele Mirabile, titolari della Beentouch. I due relatori non sono nuovi agli ambienti della CNI, in quanto hanno già collaborato anni fa dapprima con la Scuola media superiore italiana di Fiume e poi con la locale Comunità e con l’Unione stessa, portando i ragazzi delle scuole nelle sedi delle CI per una serie di lezioni su temi affini a quelli trattati ora a Momiano.
Per l’occasione, però, la Giunta guidata da Marin Corva ha chiesto un approfondimento più complesso, con analisi tecniche di alto livello sui temi già citati. Di concreto i vari moduli hanno riguardato Digital Marketing, web e social media; TikTok e Instagram reels; Facebook Ads e concetti chiave sul marketing; Google Analytics e Google Ads; E-mail marketing; Sbocchi lavorativi e professioni del futuro; più tanti altri temi di grande attualità come le differenze fra la realtà aumentata e quella virtuale.
I relatori hanno fornito ai ragazzi tutta una serie di strumenti per analizzare gli andamenti dei loro progetti e per migliorarli, fornendo anche una serie di esempi su alcune dinamiche che potrebbero sembrare non intuitive, ma che si sono dimostrate funzionali. Una di queste, ad esempio, riguarda i commenti negativi che possono comparire sotto determinati post sui social. I relatori hanno spiegato chiaramente come su Facebook e Instagram tutti i commenti, compresi quelli potenzialmente negativi, vengano calcolati come engagement e contribuiscano pertanto ad aumentare la visibilità del post e di conseguenza di tutto il marchio. Hanno citato come esempio concreto pagine che ottengono una grande visibilità a causa dei moltissimi commenti che correggono un errore grammaticale messo apposta nel testo allegato al post.

I corsisti davanti alla Comunità degli Italiani di Momiano. Foto Tina Braico

Brand identity

Uno degli insegnamenti più importanti che i due relatori hanno cercato di trasmettere ai giovani è stata la necessità di avere una visione d’insieme, di carattere manageriale, sulla realizzazione dei progetti e degli obiettivi che si trovano davanti. In questo contesto si è parlato fra le altre cose della scelta del nome dell’azienda, di come sia necessario verificare che questo nome non sia già stato usato su Facebook, Instagram o altre piattaforme social, oppure se il nome che hanno intenzione di usare non sia già estremamente famoso per altri motivi, che andrebbero a limitare la visibilità dell’azienda, perché tutti coloro che la cercherebbero troverebbero prima gli omonimi più popolari.
Un altro concetto di fondamentale importanza nella creazione della Brand identity riguarda la scelta di una color palett, che vada a definire quelli che saranno i colori usati nel corso di tutte le campagne promozionali e di marketing. Per far capire ai corsisti l’importanza di questo passaggio, spesso trascurato da molte aziende, i relatori hanno citato alcuni marchi famosi, chiedendo ai presenti in sala di associarli a un colore, con i ragazzi che non hanno mai sbagliato l’accoppiamento, dimostrando come i colori rappresentino una parte importante dell’identità del marchio. Inoltre, come spiegato durante le lezioni, ogni colore genera nel subconscio delle associazioni con delle emozioni, collegamenti che vanno tenuti bene a mente, perché sempre più spesso le aziende nelle loro campagne di marketing non cercano di vendere un prodotto, bensì un valore o un’emozione che ritengono che questo prodotto possa trasmettere.

La visita al castello di Momiano. Foto Tina Braico

Project managemant

Si è parlato poi molto di come gestire i progetti e di quali siano le più note tecniche per farlo, con un’analisi e comparazione del più classico Waterfall e un’introduzione all’Agile che seppur non si possa definire universalmente migliore, per determinati progetti manifesta un approccio rivoluzionario. Partiamo proprio dall’approccio: la progettazione Waterfall prevede un approccio sequenziale, in cui ogni fase del processo deve essere completata prima che si possa procedere alla successiva. Invece, la progettazione Agile prevede un approccio interattivo, in cui le fasi si susseguono in modo circolare, con il coinvolgimento continuo del cliente.
La struttura: nella progettazione Waterfall, il progetto è diviso in fasi distinte, come l’analisi dei requisiti, la progettazione, lo sviluppo, i test e la messa in produzione. Invece, la progettazione Agile prevede cicli di sviluppo, chiamati sprint, in cui ogni ciclo si concentra su una specifica funzionalità o set di funzionalità. La documentazione: nella progettazione Waterfall, la documentazione è molto dettagliata e rappresenta un elemento chiave del processo di sviluppo. Invece, nella progettazione Agile, la documentazione è ridotta al minimo necessario, in modo da favorire la comunicazione tra lo sviluppatore e il cliente.
Il coinvolgimento del cliente: nella progettazione Waterfall, il coinvolgimento del cliente è limitato all’inizio del progetto, quando vengono raccolti i requisiti. Invece, nella progettazione Agile, il cliente è coinvolto in modo attivo e continuo, in modo da poter fornire feedback e modifiche lungo tutto il processo di sviluppo.
L’adattabilità: la progettazione Waterfall è meno flessibile rispetto alla progettazione Agile, poiché le fasi sono rigide e le modifiche possono essere costose e complesse. Invece, la progettazione Agile è molto più adattabile alle modifiche dei requisiti del cliente, in quanto i cicli di sviluppo sono più brevi e flessibili.

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