I risultati inerenti all’appartenenza nazionale scaturiti dal Censimento 2021 confermano che in Croazia l’emigrazione è un fenomeno largamente diffuso e che i cittadini sono propensi a lasciare il Paese per trovare un lavoro che risponda alle loro esigenze e aspettative. L’altro dato che emerge dai dati pubblicati dall’Istituto nazionale di statistica (DZS) è che l’età media della popolazione è alta, una circostanza che emerge in modo chiaro anche per quanto concerne le comunità nazionali. Non bastasse, il Censimento 2021 ha confermato pure che alcune aree del Paese risentono di una devastazione demografica che dura da decenni e che trova le sue radici nei sconvolgimenti causati dalla Seconda guerra mondiale prima e dalla Guerra patriottica poi, ma anche gli spostamenti dalla campagna verso le città hanno contribuito a svuotare intere regioni tra le quali il Gorski kotar, alcune zone della Slavonia settentrionale, parti della Lika, del Kordun, della Banija, le isole…
Reagire nel modo giusto
Sono queste le riflessioni di Filip Škiljan, ricercatore presso l’Istituto per le migrazioni e le nazionalità di Zagabria espresse in un’intervista all’agenzia Stina in merito alla fotografia del Paese emersa dalle dichiarazioni fatte dai cittadini e analizzate dall’DZS. Una fotografia che a detta del ricercatore per quanto concerne le comunità nazionali, rivela una tendenza all’assimilazione e la propensione alla mimetizzazione etnica, ma che nonostante ciò non va vista come la conferma di un dramma in essere. Certo il calo della popolazione in termini generali è indiscutibile, i numeri sono addirittura peggiori per quanto concerne le realtà minoritarie, ma a sentire Filip Škiljan “nessuna realtà può essere considerata a rischio”. Il punto sta nel reagire nel modo giusto, calandosi in un contesto reale e perseguendo un risultato possibile. Il primo passo da compiere è comprendere appunto il contesto, magari osservando i dati in una dimensione storica più ampia di un decennio. Un esercizio che forse consentirebbe di capire che gli alti e i bassi ci sono sempre stati, che i numeri non sono costanti e che dipendono da tanti fattori che possono incidere sul loro andamento.
Alti e bassi nella storia
”Stando al Censimento 2021 alcune minoranze hanno fatto registrare il minimo storico, almeno da quando vengono raccolti ufficialmente i dati riguardanti la popolazione residente sul territorio. Ci sono stati in passato periodo difficili, ad esempio gli anni della Seconda guerra mondiale, quando alcune minoranze hanno rischiato di essere completamente cancellate. È il caso della comunità rom e di quella ebraica. Prima della Seconda guerra mondiale, nel 1931, in Croazia i rom dichiarati erano 14.284 (nell’area della Savska banovina), mentre nel 1948 il numero si era ridotto a soli 405; nel 1931 sul territorio dell’allora Regno di Jugoslavia vivevano 68.405 ebrei, circa lo 0,5 p.c. della popolazione complessiva, mentre nel primo Censimento del dopoguerra fatto nel 1948 il loro numero era sceso a 6.853”, racconta Škiljan, precisando che all’epoca le persone incluse nelle Comunità ebraiche erano di più, per l’esattezza 11.934. Proseguendo la lettura dei dati storici il ricercatore fa presente che nel secondo dopoguerra la situazione fu molto difficile anche per i tedeschi, passati da 98.990 del 1931 a soli 10.144 nel 1948. Difficile avere una visione chiara del numero di cittadini di etnia serba in quanto – spiega – “nel Censimento del 1931 figura il dato complessivo dei cittadini di fede ortodossa (633.000 persone), mentre in quello del 1948 il criterio fu quello dell’appartenenza etnica e qui risultarono 543.000 serbi”. Quanto all’andamento nei decenni successivi Škiljan chiarisce: “ci fu un aumento dei cittadini di etnia serba e rom, ma anche il numero di albanesi cominciò a crescere a seguito delle migrazioni del dopoguerra, mentre altre comunità – italiana, ceca, ungherese… – cominciarono ad affrontare un calo praticamente costante”.
Leggere i dati
Tornando all’attualità, ovvero riprendendo in meno i dati del Censimento 2021, Škiljan – autore tra l’altro della monografia bilingue Italiani a Zagabria, la cui seconda edizione ampliata era stata presentata nel maggio scorso in occasione della celebrazione del 15º anniversario della Comunità degli Italiani di Zagabria – fa presente che seppur di poco alcune minoranze sono andate controtendenza, ovvero hanno fatto registrare un piccolo aumento del numero di appartenenti: i tedeschi, gli austriaci, i rom, i russi, gli ucraini, i turchi. Altre, la maggior parte, hanno invece dovuto confrontarsi con un calo significativo. “Rispetto al 2011 la minoranza serba ha avuto un calo di circa un terzo degli appartenenti, la Comunità italiana è numericamente scesa di oltre il 20 p.c., quella ceca di 19 punti, peggio ancora la comunità ungherese dove il calo è del 27 p.c., in flessione anche il numero dei bosgnacchi (-24 p.c.), dei macedoni (-14 p.c.), degli sloveni (-26 p.c.), degli albanesi (-21 p.c.). Percentuali alte, in alcuni casi più alte rispetto alle attese, ma va detto che nessuna comunità è a rischio scomparsa”, chiarisce Škiljan nell’intervista e fa presente che osservando la situazione emersa riguardo ad esempio alla comunità albanese non si può escludere un forte effetto emigrazione e che con tutta probabilità motivazioni simili stanno anche alla base della riduzione del numero di bosgnacchi.
Questioni anagrafiche
Inoltre va considerata l’età media. È noto che anche sul piano generale la situazione demografica invita a una forte riflessione e all’adozione di misure capaci di contrastare l’invecchiamento della popolazione. Particolare attenzione merita in tal senso anche la situazione nell’ambito delle comunità minoritarie. Lo fa presente Škiljan che alla luce dei dati diffusi dall’Istituto nazionale di statistica evidenzia: “Riprendendo in mano il Censimento del 2011 possiamo vedere quali sono le Comunità più anziane. A detenere il non conteso primato erano gli sloveni con un’età media di 59,7 anni seguiti a ruota dai montenegrini (56,5), dai tedeschi (54,1), dai bulgari (53,7), e dai serbi (53,1). Nella seconda fascia c’erano gli italiani (50,3), gli ungheresi (50,7), i cechi (48,5)…, mentre sotto la media nazionale che all’epoca era di 41,7 anni trovavamo soltanto i rom (21,9), gli albanesi (32,4), i turchi (36,9) e i rumeni (40,8). Vale la pena ricordarlo per comprendere che già nel 2011 l’età media degli appartenenti alle comunità minoritarie era di regola superiore a quella della popolazione complessiva”.
Un circolo vizioso
Detto questo la flessione registrata nel Censimento 2021 non può essere ricondotta esclusivamente al combinato disposto della situazione anagrafica e della tendenza all’emigrazione. “È indiscutibile che lo Stato non investe abbastanza in alcune zone che se non l’hanno già vissuto sono prossime a confrontarsi con una débâcle demografica. Va però anche detto che per investire in un’area sarebbe opportuno che gli effetti degli investimenti ricadano poi sulle persone residenti in quel territorio”, fa presente Škiljan, chiarendo che è un po’ la vicenda del cane che si morde la coda. A incidere sulla fotografia emersa dal Censimento 2021 ci sono dunque tanti fattori inclusi il mimetismo etnico, l’assimilazione, le migrazioni interne e l’emigrazione economica. Ultimo, ma non per importanza anche la bassa crescita demografica.
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